L’avvento e la successiva evoluzione della democrazia in Spagna, ha avuto caratteristiche speciali, determinate, come è logico, dalle strutture politiche, sociali e mentali createsi durante la dittatura.
In primo luogo, il successo fondamentale della transizione è stato, si dica quel che si vuole, la scomparsa fisica del dittatore Franco, che è morto in modo tranquillo (anche se alquanto orribile) nel suo letto, e non in seguito a un qualche processo rivoluzionario.
Franco aveva prestabilito chi doveva essere il suo successore, il Re Juan Carlos, ed anche la maggioranza degli incarichi militari, polizieschi o governativi, che dovevano reggere il paese dopo la sua morte. Tutti questi eredi, in modo particolare il re, non si sono comportati certamente nel modo esatto in cui egli avrebbe voluto, ciononostante non c’è dubbio che rappresentano una continuità col regime precedente.
Per la maggioranza degli spagnoli progressisti, l’avvento al potere dei socialisti ha avuto il significato fondamentale che per la prima volta la Spagna non era governata da eredi di Franco, bensì da una organizzazione politica proscritta e perseguitata durante la dittatura. Comunque, anche i socialisti non hanno potuto cambiare tutti i posti chiave principali della struttura amministrativa, cosicché gli incarichi principali dei corpi repressivi (esercito, polizia, carceri, ecc.) continuano ad essere gli stessi del regime precedente, e oppongono logicamente una resistenza alle modificazioni democratiche.
Al loro arrivo al governo, i socialisti si sono trovati a dover affrontare due tipi di problemi: i problemi ereditati direttamente dal vecchio regime, e quelli frutto della congiuntura mondiale. I primi includono i rapporti con i nazionalismi più o meno indipendentisti, il terrorismo, la minaccia di golpe militare, l’esistenza di una magistratura di mentalità fascista, metodi non meno fascisti nella polizia e nelle prigioni, ecc. Nel secondo gruppo, c’è prima di tutto la difficile situazione economica (chiusura di aziende, inflazione, ecc.) frutto della crisi del sistema economico mondiale. E anche l’inclusione della Spagna nell’OTAN, affrettatamente compiuta dal governo centrista e rispetto alla quale i socialisti non sanno come far indietro impunemente.
La verità è che i socialisti non hanno saputo risolvere, ancora, nessuno di questi problemi; in certi casi (V. Autonomie) sembrano essere anche più turpemente autoritari dei loro predecessori centristi. In alcuni casi, come quello dell’uso della tortura e dell’obiezione militare, le riforme sono notevolmente lente e insufficienti. La riconversione industriale, della cui imperiosa necessità nessuno può seriamente dubitare, viene attuata in modo da molestare il meno possibile i proprietari, anche a costo di gravare in massima parte sul lavoratori.
Dal punto di vista ideologico, è ormai disegnato il profilo eurosocialista alla spagnola. Più che da un complesso di idee, esso è rappresentato da una certa buona volontà, sommamente condizionata dalla machiavellica realtà del potere in quasi tutti gli aspetti. Di fronte a problemi come quello dell'OTAN, ad esempio, i timori di dover subire rappresaglie da parte degli USA (motivo reale per temere di dover abbandonare l'alleanza difensiva) sono coperti con entusiastiche dichiarazioni filoatlantiste, in contrasto con tutto quanto il partito ha detto fino ad un anno fa.
Eppure credo che i socialisti, al momento attuale (e non è facile dire fino a quando), siano il migliore del governi possibili in Spagna, per noi che desideriamo che venga portata a termine la grande e necessaria trasformazione delle strutture impiantatesi durante quarant'anni di Franchismo, e ottenere quote maggiori di libertà individuale e giustizia collettiva.
È probabile che, se sono i migliori, lo siano nonostante se stessi e più per effetto delle circostanze che per merito proprio. Il riconoscimento di tale situazione di fatto, sia ben chiaro, non implica alcun entusiasmo collaborazionista, né esclude la critica pubblica e la pressione sociale sul governo, ma scarta, comunque, l'ostruzionismo sistematico e la sovversione cosiddetta "rivoluzionaria".