Questo testo fa parte degli atti della giornata di studi «Attualità di Kropotkin», tenutasi il 15 marzo 1981 presso Palazzo Dugnani, Milano. Gli atti sono stati pubblicati sul numero 2/1981 di «Volontà».
Kropotkin: scienza e anarchia
di Nico Berti
La ricerca di un fondamento «antropologico» dell’anarchia come essenziale spiegazione e giustificazione dei suoi valori trova il suo punto più alto e problematico nella sistemazione dottrinaria di Kropotkin. Punto più alto e problematico dovuto alla complessità dell’accostamento pressoché antinomico fra natura e cultura, ovvero tra la spiegazione della libertà e dell’uguaglianza date come dimensioni autenticamente naturali dell’agire umano e la giustificazione della libertà e dell’uguaglianza date come valori etici generali ed esaustivi della socialità dell’uomo. Insomma, come tentativo di giustificare i valori della libertà e dell’uguaglianza attraverso una spiegazione di tipo naturale. L’accostamento appare antinomico e problematico perché mentre la giustificazione attiene al campo dell’etica, la spiegazione si risolve in quello della scienza. Perciò ecco il teorema di Kropotkin: dare la giustificazione dell’etica attraverso la spiegazione della natura. Ma come risolvere la natura nella cultura, la scienza nei valori? Cioè una spiegazione che stia a fondamento della giustificazione quale espressione logica dell’equazione: etica uguale autenticità naturale? La risposta che Kropotkin dà si può riassumere in questa progressiva articolazione: la spiegazione della natura evidenzia il significato della sua interna logicità come necessità la cui valenza più matura però si dà a sua volta come spontaneità, cioè la spiegazione della necessità naturale si traduce nella giustificazione della sua spontaneità. A sua volta l’immediata valenza della spontaneità non può che essere colta sotto il significato della libertà. Natura, spontaneità, libertà: questi i termini della sequenza progressiva insiti nella risposta di Kropotkin. A renderli evidenti nella loro intrinseca logicità concorre quindi l’unica appropriazione possibile della ricerca umana: la scienza. La scienza, come sviluppo delle spiegazioni della natura, si fa coscienza della duplice valenza delle leggi naturali: da una parte esse sono, come necessità, fondamento «oggettivo», dall’altra esse sono, come spiegazione di questa stessa necessità, spontaneità riconosciuta. La scienza, quale spiegazione della natura, si risolve nella giustificazione della spontaneità naturale, il cui significato che la scienza dà come coscienza si risolve a sua volta come libertà. Vediamo di dar ragione di tutti questi passaggi.
Scrive Kropotkin: «L’Anarchia è il risultato inevitabile del movimento intellettuale nelle scienze naturali movimento che cominciò verso la fine del XVIII secolo» (1). La identificazione kropotkiniana fra scienza e progresso sociale e fra scienza e anarchismo, stabilisce così il primato assoluto della conoscenza e della ragione nel processo dell’emancipazione umana, un processo quindi strettamente condizionato dallo sviluppo scientifico. Specificamente l’identificazione è fra il metodo dell’anarchia e quello induttivo delle scienze naturali. Lo scopo è quello di evidenziare, nell’accostamento metodologico, la sostanziale analogia fra natura e anarchia. Scrive infatti Kropotkin: «studiando i progressi recenti delle scienze naturali e riconoscendo in ogni nuova scoperta una nuova applicazione del metodo induttivo, vedevo nello stesso tempo, come le idee anarchiche, formulate da Godwin e Proudhon e sviluppate dai loro continuatori, rappresentavano pure l’applicazione di questo stesso metodo alle scienze che studiano la vita delle società umane» (2). Kropotkin però non si limita a una identificazione attinente al campo metodologico, ma amplia tale identificazione al campo più vasto della concezione anarchica e della concezione della natura, fondendo così Scienza e Anarchia in una weltanschauung di forte significato: «l’Anarchia è una concezione dell’universo, basata sulla interpretazione meccanica dei fenomeni, che abbraccia tutta la natura, non esclusa la vita della società» (3). Addirittura essa si delinea come strumento generale di comprensione scientifica in grado «d’elaborare la filosofia sintetica, ossia la comprensione dell’Universo nel suo insieme» (4). Per Kropotkin, dunque, si può assegnare alla scienza non solo una funzione ideologica in senso progressista e libertario, ma anche, per converso, assegnare all’anarchismo il compito di una comprensione scientifica che si identifichi con quella delle scienze naturali. Natura, spontaneità, libertà, ecco i tre termini delineati sopra qui uniti dal filo della spiegazione scientifica come giustificazione della loro duplice sequenza progressiva, perché se si può arrivare all’anarchia partendo dalla natura, si può ritornare a spiegare questa partendo dall’anarchia. E ciò per il particolare significato che Kropotkin assegna alle scienze naturali, quelle scienze, appunto, in grado di operare l’accostamento fra natura e cultura, fra scienza e valori.
L’accostamento è spiegato da Kropotkin in questo modo. Dopo la rivoluzione copernicana – che ha dato un colpo mortale al geocentrismo – ogni scoperta scientifica confermerebbe il fatto che la struttura dell’universo non ha un centro specifico di forza e di direzione della forza. Spingendo in questa direzione è possibile trovare un riscontro obiettivo il quale confermi che la struttura oggettiva della natura, della materia e dell’intero universo è costituzionalmente non gerarchica: «il centro, l’origine della forza, trasferito una volta dalla terra al sole, si trova ora sparpagliato, disseminato: è dappertutto e in nessun luogo» (5). Pertanto la struttura dell’universo è costituzionalmente non gerarchica perché si basa su un’armonia« che è la risultante degli innumerevoli sciami di materia, che si muovono ognuno dinnanzi a sé tenendosi l’un l’altro in equilibrio» (6). Il significato ideologico che Kropotkin dà a questa scoperta scientifica è evidente: è cioè una spiegazione descrittiva tesa a giustificare un valore normativo. Basti pensare al concetto di federalismo anarchico così come, ad esempio, è definito da Proudhon: «il centro politico è ovunque, la circonferenza in nessun punto» (7). Il passaggio dalle scienze della natura alle scienze umane non trova quindi ostacoli per Kropotkin, perché questa costituzionale non gerarchia della materia è confermata non solo dall’astronomia, ma da «tutte le scienze senza eccezione quelle che trattano della natura, .. quelle che si occupano dei rapporti umani» (8). Esse si informano al criterio che non esistono leggi naturali prestabilite, che l’armonia della natura è la risultante fortuita e temporanea di un processo di scontri e incontri all’interno della struttura materiale. Ciò che chiama legge non è altro che un rapporto fra certi fenomeni, i quali hanno un carattere condizionale di causalità: se un certo fenomeno si verifica in certe condizioni ne seguirà un altro e così via. Se un tale fenomeno dura dei secoli, «è perché ha impiegato secoli per stabilirsi; un altro non durerà che un attimo, se la sua forma di equilibrio è nata in un attimo». Pertanto non c’è «nessuna legge, ma il fenomeno: ogni fenomeno governa quello che gli succede, non la legge» (9). Possiamo osservare anche qui una continuità fra il pensiero kropotkiniano e il pensiero anarchico in questa interpretazione antigerarchica della natura. Bakunin aveva scritto che in essa «non esiste alcun governo e quelle che si chiamano leggi naturali non sono altro che il normale svolgersi dei fenomeni e delle cose che si producono in modo a noi ignoto nel seno della causalità universale» (10).
La sostanziale supposta analogia fra l’antigerarchia della natura e l’antigerarchia della società umana è da realizzare, è per Kropotkin imposta dallo sviluppo scientifico, precisamente dalla sua metodologia che tende a costruirsi non attraverso sistemi generali precostituiti, ma secondo una continua analisi di divisione della materia in cellule autonome sempre più piccole e interdipendenti. Per cui se un tempo «la scienza studiava i grandi risultati e le grandi somme (gli integrali direbbe il matematico), oggi studia gli infinitamente piccoli, gli individui che compongono le somme e di cui ha finito per riconoscere l’indipendenza e l’individualità, contemporaneamente alla loro stessa intima aggregazione» (11).
A questo punto l’interpretazione antigerarchica si generalizza invadendo il campo delle scienze umane. Così, per esempio, la storia dopo essere stata «la storia dei regni, tende a diventare la storia dei popoli, poi lo studio degli individui» (13). Allo stesso modo «l’economia politica, che ai suoi inizi fu uno studio della ricchezza degli Stati, diventa oggi uno studio sulla ricchezza degli individui»(14). Per Kropotkin quindi lo sviluppo scientifico condiziona lo sviluppo sociale, la «democratizzazione» delle scienze spinge e si accompagna alla «democratizzazione» delle coscienze. La scienza sviluppa l’etica, la spiegazione rafforza la giustificazione, l’informazione quantitativa si traduce in consapevolezza qualitativa. Il progresso della scienza nei suoi metodi e nei suoi risultati è oggettivamente libertario e progressista (se non addirittura anarchico). Infatti, come l’armonia della natura è frutto di una risultante e di un equilibrio temporaneo che trova la propria ragione nell’indipendenza e autonomia di tutte le forze che concorrono a essa (anche se «intimamente aggregate»), perché nessuna legge eterna e precostituita presiede a essa, nessun governo insomma gestisce la natura, così la nuova società umana non potrà altro che sfociare nell’anarchia. Anche la società umana tende naturalmente, spontaneamente, a respingere le forme prestabilite e cristallizzate della legge, (cercando) l’armonia nell’equilibrio sempre mutevole e fuggitivo, tra le moltitudini di forze diverse e di influssi di ogni genere» (14).
In virtù di questo preteso riscontro obiettivo fra le strutture complessive del reale e l’ideologia anarchica, il pensiero kropotkiniano scivola inevitabilmente verso una concezione deterministica dello sviluppo storico e scientifico. Sotto il nome dell’anarchia, afferma infatti Kropotkin, nasce «un’interpretazione della vita passata e presente e, nello stesso tempo, una previsione sul loro avvenire, l’un l’altra concepite nello stesso spirito della concezione della natura» (15). All’interno di questo quadro globale diviene quindi legittima la fondazione di un’etica basata sulle scienze naturali. così i progressi della scienza e della filosofia negli ultimi cento anni si fondano con la «legge generale e universale dell’evoluzione organica agente in modo che il mutuo appoggio, la giustizia e la morale (possano basarsi) su un’etica scientifica con gli elementi acquisiti a questo scopo dalle ricerche moderne fondate sulla teoria dell’evoluzione» (16).
Affiora così, nell’affermato riscontro obiettivo fra progresso scientifico e progresso sociale, uno dei punti controversi del suo pensiero, perché nello stesso momento in cui egli delinea la dimensione della libertà come conseguenza oggettiva e certa dell’evoluzione, egli ribadisce anche che il passaggio dal sistema dello sfruttamento alla libertà dal bisogno si può dare solo attraverso un salto rivoluzionario (17). C’è da domandarsi quindi come mai coesista nella sua concezione la dimensione rivoluzionaria e quella evoluzionistica creando una forte, per non dire insanabile contraddizione. L’etica e la libertà, che implicano sforzo, coscienza e volontà, date come risultato di un’evoluzione organica universale trascendente l’ambito della conquista individuale. Il mutuo appoggio, la giustizia e la morale, afferma infatti testualmente Kropotkin, «sono i gradi della serie ascendente degli stati psichici che ci sono stati fatti conoscere dallo studio del mondo animale e dell’uomo. Essi sono una necessità organica, portante in sé la propria giustificazione» (18). La rivoluzione diventa in tal modo una variabile dell’evoluzione secondo la concezione – presente anche in Reclus (19) – che vede il salto rivoluzionario come un’accelerazione rapida, una fase concentrata dell’evoluzione generale. Dobbiamo quindi dare una risposta a questo decisivo quesito circa la contraddittoria coesistenza, o comunque problematica presenza, fra evoluzione e rivoluzione, fra scienza ed etica, fra natura e cultura. A nostra avviso essa va ricercata nel salto logico tra le asserzioni e le prescrizioni, nella non inferibilità di direttive e valori dalle descrizioni e previsioni. Quel salto logico lucidamente denunciato dalla demarcazione malatestiana fra l’anarchia e la scienza: «l’Anarchia è ... un’aspirazione umana, che non è fondata sopra nessuna vera o supposta necessità naturale, e che potrà realizzarsi secondo la volontà umana. Essa profitta dei mezzi che la scienza fornisce all’uomo nella lotta contro la natura e contro le volontà contrastanti ..., ma non può essere confusa, senza cadere nell’assurdo, né con la scienza, né con un qualsiasi sistema filosofico» (20). Ora la spiegazione che invece Kropotkin dà di questa inferibilità, di questa traduzione fra il senso della previsione, cioè l’evoluzione, e quello della realizzazione, cioè l’etica, si basa tutto sul significato attribuito alla scienza. E questo significato è evidentemente per Kropotkin uno solo, che si può riassumere così: la scienza è un valore. Anzi, è il massimo valore possibile elaborato dall’uomo. Ciò è dovuto al carattere proprio della scienza, vale a dire alla sua universalità: la scienza, egli scrive, «ignora i limiti artificiali della politica» (21). La scienza, quale espressione suprema della cultura umana, supera perciò ogni particolarità storica, sociale ed economica, evidenziando, nel ramo delle scienze naturali, l’elemento comune, universale, presente in ogni uomo: la sua naturalità umana. Riprendendo in pieno la grande tradizione illuministica – che gli fa affermare che le radici dell’anarchia «sono nella filosofia naturalista del XVIII secolo» (21) – Kropotkin arriva a delineare la società anarchica quale società naturale che si autoriconosce come autentica. E questo riconoscimento della socialità naturale dell’uomo, del solidarismo spontaneo dell’agire umano, della sua immediata significanza anarchica, tutto ciò, appunto, è dovuto alla comprensione scientifica intesa nella sua accezione più vasta, come concezione generale, di quel rapporto fra uomo e natura che è oggettivamente privo di soluzioni di continuità.
Compito della scienza è dunque aiutare l’uomo all’educazione di questa consapevolezza dei rapporti necessari, oggettivi e materiali che regolano la vita naturale e sociale di ogni individuo. La scienza, liberando l’uomo da ogni fantasia metafisica e religiosa, lo educa in pari tempo a riconoscere il valore della sua naturalità e materialità favorendo così l’instaurazione di un autentico rapporto con la natura e quindi la fondazione della sua originale umanità. È questo l’unico modo perché il passaggio dall’animalità all’umanità diventi un passaggio univoco, senza ritorno. Il dissolvimento di ogni teologia e metafisica – comporta il passaggio dalla morale religiosa a quella materiale, umana e libertaria – ha il suo riferimento teorico nella scienza. Essa sola può evidenziare la reciprocità fra sentimento morale e sentimento naturale, indicandoci «dove agiscono le forze capaci di portare questo sentimento morale a un’altezza sempre più grande, rendendolo sempre più puro» (23). Essa sola, cioè, può sottolineare «l’importanza del mutuo appoggio in quanto legge della natura e principale fattore dell’evoluzione progressiva» (24). Questa capacità della scienza di stimolare indirettamente la solidarietà umana e quindi di promuovere una autentica formazione morale della comunità, è dovuta, come abbiamo detto, alla sua universalità. Essa pertanto, nella concezione kropotkiniana, diventa una leva potente capace di abbattere il peso parassitario della struttura gerarchica della realtà storico-sociale. La concezione profondamente illuministica che Kropotkin ha della scienza, della sua oggettiva, inequivocabile dimensione rivoluzionaria, ci dà a questo punto la spiegazione della saldatura da lui fatta fra etica e scienza. Il salto logico che Kropotkin fa fra giudizi di fatto e giudizi di valore, che non tiene conto della famosa distinzione weberiana, è dovuto alla particolare concezione filosofica della natura, una concezione che lo pone in modo contraddittorio rispetto al significato della rivoluzione anarchica. Il determinismo di Kropotkin, infatti, non ha alla base la certezza della realizzazione di un fine insito nella storia, per cui bisogna scoprire le leggi di questa adeguando a esse la prassi politica (Marx), ma la certezza della oggetti va funzione rivoluzionaria della scienza – e in genere del progresso scientifico – come strumento in grado di porre una frattura insanabile fra storia e natura. In altri termini, la concezione deterministica che Kropotkin ha del progresso scientifico si trasforma in strumento rivoluzionario quando questa stessa concezione deterministica viene posta in essere. La scienza – intesa nella sua accezione illuministica di ragione – opera effettivamente una rottura rivoluzionaria fra natura e storia dissolvendo con il suo «principio di verificazione» ogni lascito metafisico e autoritario. Questo permette di capire la complessità della visione kropotkiniana tesa a rendere complementari e interdipendenti i dettami del naturalismo oggettivistico con quelli scaturenti dalla prassi volontaristica delle masse, dei gruppi e degli individui esplicantesi sul piano storico sociale. Tuttavia la visione della scienza come strumento oggettivamente libertario e rivoluzionario, non può oggi essere ritenuta attuale e utilizzabile. La teoria di un’evoluzione determinata come progresso indefinito di forme sempre più umane e civili e perciò implicitamente libertarie ed egualitarie, risulta inverificata dall’esperienza storica. Nondimeno, il significato rivoluzionario assegnato da Kropotkin alla scienza è da considerare, per un altro verso, in modo più critico, nel senso che l’accostamento kropotkiniano fra anarchismo e scienza ha un significato che va ben oltre la fallacia del determinismo naturalistico. Si tratta, come è noto, del significato da riconnettersi al senso autentico del carattere fondamentalmente sperimentale della metodologia scientifica che qui può essere coniugata con alcune implicazioni ideologiche proprie dell’anarchismo. Certamente la metodologia kropotkiniana dell’avanzamento per induzione-deduzione è oggi, come tutto l’induttivismo e il principio di verificazione, ritenuto insufficiente a dare una valida base scientifica. Il problema però non ci sembra sia di carattere strettamente epistemologico, anche se sappiamo quanta distanza passa fra il metodo induttivo-deduttivo e quello popperiano della «falsificabilità». Crediamo cioè che oltre a una questione strettamente epistemologica, si debba porre anche l’accento sulla questione più propriamente ideologica che è quella della demarcazione fra metodo totalizzante e metodo pluralistico. A questo proposito la critica che Kropotkin fa del metodo hegeliano dialettico è illuminante. Egli infatti lo accomuna a qualsiasi altra pretesa «essenzialista», vale a dire a qualsiasi altra concezione che rivendica la scoperta della verità totale e definitiva. A questa «scolastica medievale risuscitata da Hegel (...) che i social-democratici raccomandano per elaborare l’ideale socialista» (25), Kropotkin oppone il metodo induttivo-deduttivo basato sulla consapevolezza di una continua rivedibilità della conoscenza scientifica «a misura che saranno colmate le lacune antiche» (26). In questo modo lo sperimentalismo per il suo carattere di «apertura», di «modificabilità», per il suo insomma costituzionale «antidogmatismo» svolge, in un certo senso, una funzione analoga a quella svolta dal pluralismo all’interno del procedimento proprio dell’anarchismo. L’analogia fra sperimentalismo e pluralismo è data dalla comune natura di essere entrambi un metodo regolativo più che costitutivo rispetto al problema di una costruzione sociale e di un pari sviluppo scientifico.
Con questa angolazione va spiegato il particolare carattere dato da Kropotkin alla delineazione della «società futura». L’utopia kropotkiniana non è la rappresentazione di una realtà statica, uniforme e conchiusa, di una realtà «totalmente altro» rispetto al presente, ma di questo la raffigurazione complessa delle sue possibilità latenti e potenziali, dispiegate in tutta la loro multiforme e inesauribile ricchezza. «Fasci» sovrapponibili all’infinito di realtà, un universo pluralistico continuamente componibile e scomponibile secondo le scadenze imposte da un divenire incessante ed emergente non sono altro secondo Kropotkin che il risultato necessario «dell’aumento continuo dei bisogni dell’uomo civilizzato» (27). Certo vi è in Kropotkin un ottimismo eccessivo che lo porta a volte a una inconsapevole «selezione» dei dati acquisiti dalla ricerca (28). Alla sua visione evoluzionistica si sovrappone perciò quella rivoluzionaria, e così quelle che sono semplici tendenze diventano ai suoi occhi delle leggi. Tuttavia questa sovrapposizione fra scienza e scientismo, fra spiegazione e giustificazione non assume mai il carattere imperativo della «totalità». Lo impedisce, per l’appunto, il metodo sperimentale della verificazione continua quale garanzia contro ogni forma di totalitarismo pianificante.
È interessante a questo proposito osservare come in Kropotkin il metodo scientifico risponda e sia subordinato alla metodologia anarchica fondata sul rapporto della necessaria e centrale coerenza fra mezzi e fini. Se si considera come in questa metodologia si evidenzia la dimensione più rivoluzionaria dell’anarchismo, è possibile a questo punto vedere come lo stesso Kropotkin superi la sua concezione deterministica dell’identificazione fra scienza e anarchia. Il rapporto della coerenza fra mezzi e fini ci dice infatti che i fini non possono essere raggiunti che attraverso l’adeguamento dei mezzi alla natura dei fini stessi. Ciò significa evidentemente un intervento volontario, cosciente e «artificiale» della mano rivoluzionaria nella modificazione continua dei mezzi, un intervento che non fa altro che rimandare a una considerazione fondamentale: e che cioè i fini sono – anche se estrapolati da tendenze latenti del presente – collocati in essere volontariamente dalla prassi rivoluzionaria. Sono cioè, in altri termini, immessi nel processo storico come obiettivo cosciente e volontario: in ultima analisi, i fini non sono dati, ma posti. Ora, scrive Kropotkin, «l’indagine scientifica non è fruttuosa che a condizione di avere uno scopo determinato: d’essere cioè, intrapresa coll’intenzione di trovare una risposta a una questione chiara e ben definita» (29). A questo scopo occorre quindi adeguare i mezzi: «Orbene, la questione che l’Anarchia si propone di risolvere potrebbe concretarsi come segue: quali forme sociali assicurano più efficacemente, in determinate società, e per amplificazione, nella umanità in generale, una maggior somma di benessere, e, per conseguenza una fonte più copiosa di vitalità?» (30).
L’adeguamento dei mezzi ai fini attraverso una metodologia scientifica non potrebbe essere più chiaro: la scienza è qui completamente al servizio di una volontà, di un’idea, di un’etica. Nella interpretazione di una scienza sociale come «fisiologia della società», cioè come «studio della somma dei bisogni sempre crescenti della società e dei mezzi diversi impiegati per soddisfarli» (31) si palesa in pieno – smentendo completamente l’atavicità di un pregiudizio «sociologico» – la possibilità teorica di una coniugazione fra sperimentalismo e rivoluzionarismo: lo sperimentalismo non è, cioè, una dimensione propria e soltanto del riformismo. E questa possibilità, questa dimostrazione teorica, ci sembra sia data grazie a un concetto ancora una volta ideologico, vale a dire, in questo caso, la volontà di partire dal basso e non dall’alto per capire la società. Così, dalla prospettiva «oggettiva» dell’economia classica, fatta propria anche da Marx (le leggi della produzione governano quelle del consumo, la loro valenza oggettiva si impone a quella soggettiva della libertà di scelta), si passa a quella rivoluzionaria del sovvertimento delle strutture tramite l’irruzione, l’emergenza del «sociale». Allo stesso modo, secondo l’asserita continuità fra uomo e ambiente, natura e società, si può realizzare quell’integrazione del lavoro fra città e campagna, lavoro manuale e lavoro intellettuale (32) sulla base di un «comunismo del sapere» che risponde ai processi organici della vita «presa nella sua interezza» (33). Si può cioè, universalizzando la pratica della scienza, arrivare, attraverso prove ed errori, attraverso «continue approssimazioni» (33), alla libertà e all’uguaglianza senza piani completi e verità totali. Si può arrivare all’utopia attraverso la scienza: questo ci ha insegnato Kropotkin.
Note
(1) P. Kropotkin, La scienza moderna e l’anarchia, Ginevra 1913, p. 142.
(2) lbid., p. VII.
(3) Ibid., p. 49.
(4) Ibid., p. VII.
(5) P. Kropotkin, L’Anarchia: la sua filosofia e il suo ideale, Ivrea, 1973, p. 11.
(6) Ibidem.
(7) P.-J. Proudhon, De la capacità politique des classes ouvrières, Paris, 1865, p. 182.
(8) P. Kropotkin, L’Anarchia: la sua filosofia e il suo ideale, cit., pp. 11-12.
(9) lbid., p. 15.
(10) M. Bakunin, Considérations philosophiques sur le fantóm divin, sur le monde réel et sur l’homme, in M. Bakunin, Oeuvres, Paris, 1908, vol. III, p. 342.
(11) P. Kropotkin, L’Anarchia: la sua filosofia e il suo ideale, cit., p. 15.
(12) Ibid., p. 16.
(13) Ibidem.
(14) Ibid., p. 20.
(15) Ibid., p. 18.
(16) P. Kropotkin, L’Etica, Catania, 1972, p. 29.
(17) P. Kropotkin, Parole di un ribelle, Milano, 1921, pp. 47-53.
(18) Ibid., p. 28
(19) E. Reclus, L’évolution, la révolution et l’ideal anarchique, Paris, 1902, pp. 14-19.
(20) E. Malatesta, Scienza e anarchia, «Pensiero e Volontà», anno II, n. 8 (1 luglio 1925). p. 172.
(21) P. Kropotkin, Campi, fabbriche, officine, Milano, 1975, p. 34.
(22) P. Kropotkin, La scienza moderna, cit., p. 143
(23) P. Kropotkin, L’Etica, cit., p. 5. Stessi concetti in P. Kropotkin, La morale anarchica
(24) P. Kropotkin, Il mutuo appoggio. Un fattore dell’evoluzione, Milano, s.d.
(25) P. Kropotkin, La scienza moderna, cit. pp. 51-52.
(26) Ibid., pp. 21-22.
(27) P. Kropotkin, La conquista del pane, Bologna, 1948, p. 28.
(28) Come notano giustamente i suoi biografi G. Woodcock e I. Avakoumovitch, Pëtr Kropotkin le prince anarchiste, Paris, 1953, pp. 338-339.
(29) P. Kropotkin, La scienza moderna, cit., p. 53.
(30) Ibidem.
(31) lbid., p. 123.
(32) P. Kropotkin, Campi, fabbriche, officine, cit., pp. 31-35, 195-229.
(33) Ibid., p. 34.
(34) P. Kropotkin, La scienza moderna, cit., pp. V-VI.