Nel 1973 sono arrivato alla conclusione che tutto quello che desideravo ottenere aprendo il centro nel 1960, e poi ristrutturandolo completamente nel 1965, tutto quello che volevo assolutamente fare e che poteva essere fatto, era stato fatto. E a causa della strana immagine che si era creata, il pericolo fisico per i miei collaboratori era diventato qualcosa di cui era difficile assumersi la responsabilità: non ci si deve dimenticare di cosa fosse l’America Latina in quel momento. Avevo anche compreso che quel posto non era in grado di salvarsi da un’istituzionalizzazione di tipo universitario. Gruppi di professori di Stanford, Cornell e altre università volevano prenderne il controllo. Ciò avrebbe voluto dire che le sessantatré persone che, sotto la guida di Valentina Borremans, effettivamente gestivano e facevano vivere il centro, nessuna delle quali aveva un diploma di scuola superiore e molte delle quali non avevano mai finito la scuola elementare, sarebbero state sostituite da un nuova banda internazionale.
Oltretutto vedevo arrivare un altro pericolo, causato dalla politica di sostegno al peso condotta dal governo messicano. Mi fidavo abbastanza del mio ereditato istinto finanziario per convincermi che nel 1973 il boom petrolifero non poteva sostenere i tassi di crescita previsti dalle istituzioni di pianificazione messicane. E prevedevo che il sostegno al peso avrebbe portato a un crollo molto grave e alla bancarotta. Nel frattempo la vita in Messico stava diventando sempre più costosa. Non avevo mai accettato sovvenzioni o donazioni, eccetto che per piccole cose – non avrei rifiutato un biscotto… L’indipendenza del cidoc era basata sulla differenza dei salari tra Stati Uniti e Messico. Offrivamo un insegnamento intensivo della lingua che prevedeva cinque ore al giorno per quattro mesi, in gruppi di tre. E pagavamo a studenti di liceo messicani stipendi che insegnanti di scuola superiore a Cuernavaca non avrebbero potuto avere, mentre facevamo pagare agli americani prezzi che erano alti per il Messico ma estremamente bassi per gli Stati Uniti. Quindi, attraverso un’economia di scala, eravamo in grado di scremare quanto era necessario per tenere in piedi un istituto di studi avanzati e una biblioteca.
Nel 1973 ho capito che la nostra possibilità di continuare in quel modo era minacciata. A causa della nuova politica monetaria, la differenza dei redditi tra il Messico e gli Stati Uniti sarebbe diventata troppo piccola per permettere questa strategia. Così in quell’anno ho chiesto a tutto lo staff del cidoc – non ho mai avuto nessuna carica, esercitato alcun potere o firmato alcunché in quei quindici anni trascorsi in Messico; ho sempre avuto un’indiscussa influenza, ma senza alcun potere gestionale – ho chiesto loro di riunirsi e ho tenuto un seminario di tre giorni sull’economia internazionale. Ho chiamato a partecipare a quel seminario due o tre eccezionali economisti messicani e ho convinto le sessantatré persone presenti che era nel loro interesse accettare il mio piano. Questo prevedeva che nei successivi due anni, o per il tempo che sarebbe stato necessario, la parte dei ricavi avanzata dalle spese non sarebbe stata impiegata nell’acquisto di libri o biglietti aerei, ma accantonata in un fondo. Quando il fondo avesse raggiunto una volta e mezza l’importo totale dei salari annui, sarebbe stato diviso in sessantatré parti uguali, la gente sarebbe andata a casa e avremmo chiuso l’istituzione. E così abbiamo fatto, in occasione del decimo anniversario, il primo aprile del 1976, con un’enorme fiesta a cui hanno partecipato anche centinaia di persone della città. Alcuni degli insegnanti di lingua hanno suddiviso la scuola in diverse altre scuole, e la biblioteca è stata donata alla più affidabile delle biblioteche locali, il Colegio de México. Così, da un giorno all’altro tutto era finito.
Fonte: Ivan Illich, David Cayley, Una fiamma nel buio. Conversazioni, a cura di Giacomo Borella, elèuthera, Milano, 2020, pp. 170-172.
15/11/2024