AUTODISSOLUZIONE DEL MENSILE INGLESE “ANARCHY” NELLE PAROLE DI COLIN WARD
Nel 1970 comunicai ai miei colleghi, con sei mesi di preavviso, la mia intenzione di smetterla di fare il redattore [di “Anarchy”]. Era mia opinione che dieci anni di lavoro redazionale fossero troppi per chiunque, anche per il più formidabile dei redattori: routine e formule automatiche cominciano a imporsi. E sebbene la gente spesso mi dica ancor’ oggi che “Anarchy” negli anni Sessanta affrontava argomenti che sono stati poi percepiti come importanti solo negli anni Settanta e Ottanta, ci stavamo comunque muovendo verso un decennio differente. Sono diventato uno scrittore di libri, soprattutto sull’abitare, l’educazione e sugli usi popolari o non ufficiali dell’ambiente, rimanendo in parte anche un giornalista semplicemente perché i venticinque libri che ho scritto o curato nei successivi venticinque anni mi hanno fatto guadagnare molto poco. Tutti quanti, però, hanno proposto un approccio anarchico a un pubblico di lettori che non avrei raggiunto altrimenti.
Nel frattempo “Anarchy” ha ottenuto una grande reputazione retrospettiva e postuma. È ricordato come un giornale migliore di quanto fosse in realtà. E naturalmente non ho nulla da obiettare a tal proposito. Ma le questioni di formato, di periodicità o del taglio stesso di un qualsiasi giornale anarchico sono piccole cose comparate con i problemi cruciali che avevo posto ai compagni redattori negli anni Sessanta. Sono questioni a cui né io né altri anarchici che si occupano di giornalismo hanno risposto in modo efficace.
Fonte: Colin Ward, L’esperienza di «Anarchy» (1961-1970) nei ricordi del suo redattore, «Bollettino dell’Archivio Pinelli», n. 6, dicembre 1995, pp. 32-34.