Di origine contadina, Aníbal de los Santos Gadea era nato in un piccolo villaggio dell’interno dell’Uruguay. Il suo ideale di un mondo senza padroni lo spinse a costituire, intorno al 1959, un gruppo di esperti in agraria che entrò a far parte di un’esperienza di cooperativismo agricolo chiamata Unidad Cooperaria n. 1. Lì entrò in contatto con Juan Pulido, esule anarchico catalano, grazie al quale conobbe la socializzazione dell’economia realizzata nelle collettività agricole e l’autogestione delle fabbriche, specialmente in Aragona, Catalogna e nel Levante, a opera dei lavoratori, che stavano creando un mondo nuovo [durante la Rivoluzione spagnola del 1936, NdT]. Iniziarono così anche le sue letture sull’anarchismo. Avido lettore, è a partire da qui che si mise a costruire il proprio sapere volto a un risveglio contadino mai più abbandonato.
Da allora, la sua ricerca di un percorso sperimentale e aperto – il suo anarchismo era essenzialmente costruttivo – lo condusse, nel 1962, all’esperienza della Comunidad del Sur [vedi Bollettino 32]. Il suo proposito era costruire un tessuto sociale che mostrasse concretamente come realizzare il socialismo libertario in una realtà che, nella libertà, nell’uguaglianza e nella solidarietà, si proiettasse verso il futuro, per un mondo migliore.
Tutte le attività alle quali si dedicò si inquadravano in questa esigenza di creatività concreta. Il suo anarchismo, visto come una filosofia di vita, lo praticava nelle lotti sociali, portate avanti sempre a partire dal basso tanto nel suo quartiere quanto a fianco dei soci delle cooperative e dei senza terra. E sempre con un senso austero del dovere che dette alla sua esistenza coerenza e continuità con le sue idee originarie, mentre l’attività di perito agrario rimase consapevolmente relegata ad altre attività considerate di servizio.
Aníbal plasmò la propria personalità a partire da quei valori libertari che tanto amava e che aveva interiorizzato, adattando il proprio modo di essere a una concezione che vedeva la propria libertà continuare in quella dell’altro e che si distingueva per una formidabile capacità di ascolto, per una imperturbabile calma, con la sua voce sempre ferma e calda, per una grande predisposizione al lavoro.
Negli anni che trasformarono la “Svizzera d’America” [l’Uruguay, NdT] in una camera di tortura, Aníbal fu uno dei prigionieri politici della dittatura di allora. Con coraggio, calma e lucidità, affrontò le botte e la prigionia.
Esule dapprima in Germania, nel 1976 scelse Barcellona per vivere, lavorare e continuare a condividere la propria esistenza con altri.
Aníbal imparò ed esercitò diversi mestieri, svolgendo tutti i compiti di cui l’esperienza comunitaria di volta in volta aveva bisogno, e tutti li svolse con la serietà e la responsabilità che lo caratterizzavano. Dietro il suo carattere riservato, c’era una persona di grande generosità.
Nell’ultimo periodo della sua vita aveva a poco a poco mollato gli ormeggi, finché, all’alba del 3 febbraio 2019, è partito per sempre.
Testo di Raquel Fosalba Cagnani, traduzione di Pietro Masiello
[fonte: Bollettino 53]