Questo testo fa parte degli atti della giornata di studi «Attualità di Kropotkin», tenutasi il 15 marzo 1981 presso Palazzo Dugnani, Milano. Gli atti sono stati pubblicati sul numero 2/1981 di «Volontà».
Motivi attuali nella proposta pedagogica di Kropotkin
di Tina Tomasi
1. Caratteri e finalità dell’educazione
Cercare quanto vi sia di attuale nella proposta educativa di Kropotkin è impresa quanto mai rischiosa per molti motivi, sia perché formulata in un contesto storico, politico e culturale, diverso dal nostro anche se non molto lontano nel tempo, sia perché difetta di una esposizione organica e sistematica e infine perché, in quanto relativa per gran parte a una società futura, corre talvolta sul filo dell’utopia, da cui peraltro deriva una singolare forza suggestiva e dirompente.
Pur non essendo un pedagogista nel senso tradizionale e ormai fortunatamente desueto del termine, Kropotkin è dotato di una non comune sensibilità per i problemi educativi, l’interesse per i quali, alimentato dalla convinzione che si tratti di questione di massima importanza sociale, rimane in lui saldo e operante per tutta la vita. Ancora nel 1908 scrive a Francisco Ferrer: «II campo da coltivare nell’insegnamento è così vasto che il concorso di tutti gli spiriti liberi dalle brume del passato e volti all’avvenire è necessario; tutti vi troveranno un immenso lavoro da compiere» (1). Senza dubbio il suo discorso sia nella pars destruens, volta alla critica al costume educativo e ai sistemi scolastici del tempo, sia in quella construens in cui dà suggerimenti per la formazione di uomini nuovi per un mondo diverso non appartiene soltanto alla storia ma prospetta problemi e indica soluzioni che in non lieve misura riguardino anche il presente. Condotto sulle basi e nella prospettiva di una precisa teoria politico sociale, poggia la salda certezza che gli sclerotici sistemi scolastici tradizionali di origine medievale e strutturati per ristrette élite, saranno presto travolti dalla scolarità di massa, conseguenza positiva dell’ormai indifferibile concreta estensione del diritto di studio agli esclusi e dall’altrettanto necessaria istruzione integrale, comportante per tutti una formazione in cui il lavoro manuale trovi degno e non subalterno posto accanto all’intellettuale.
Questa «pedagogia» che ha un retroterra più che in studi specifici nella esperienza personale di alunno e di intellettuale impegnato e che trova espressione frammentaria e occasionale in diversi saggi, parte da una concezione ottimistica, di evidente ispirazione rousseauiana, della natura umana; esclude ogni forma di costrizione diretta o indiretta, afferma che la libertà dell’alunno è un valore che va in ogni caso rispettato e difeso e assegna al maestro il compito fondamentale di aiutarlo a svolgere in pieno la personalità, a realizzarsi come essere morale in modo da divenire capace di uscire dall’isolamento egoistico e di inserirsi nella società quale forza operante per il bene comune (2). L’autentica azione educativa deve dunque essere diretta al fine «della formazione dell’uomo morale, dell’uomo attivo, pieno d’iniziativa, coraggioso, spoglio di quella timidità di pensiero che è tratto distintivo dell’uomo ‘educato’ dei nostri tempi» (3).
2. La scuola di ieri e quella di domani
Essa però può aver luogo soltanto in una scuola configurata come autonoma comunità di uguali, dove lo sviluppo di ognuno si compie attraverso una libera e multiforme attività collaborativa, dove l’insegnante si preoccupa soprattutto di suscitare lo spirito critico, l’iniziativa personale, l’amore per lo studio, l’interesse per la ricerca e considera miglior alunno non già colui che apprende il maggior numero di nozioni ma chi acquisisce un metodo di ricerca scientificamente valido ed è più disponibile nei confronti degli altri.
Purtroppo ancora oggi le scuole – dice Kropotkin – e non soltanto nei regimi assoluti ma anche in quelli cosiddetti liberali, sono volte a tutt’altri fini: istituite a vantaggio di pochi pur essendo mantenute da tutti, costituiscono a ogni livello un raffinato strumento di oppressione e di selezione, tanto più pericoloso in quanto mascherato dietro una facciata di legittimità e di imparzialità, una via efficacissima per abituare a una supina ubbidienza e per inculcare pregiudizi (4).
I programmi di studio, dettati dall’alto senza possibilità di deroghe e critiche, impongono un lavoro altrettanto gravoso quanto improduttivo che per gran parte si riduce a pura ripetizione mnemonica. Non a torto quindi i giovani migliori, la cui sete di sapere va delusa, presto prendono in odio una istituzione che, assurdamente legata a schemi culturali e metodi da un pezzo superati, persegue un modello formativo ingiusto e anacronistico, soffoca la creatività e affatica la mente con un pesante e in gran parte vano carico enciclopedico che impedisce lo studio di nuove e moderne discipline. Soltanto chi è privo di spirito di indipendenza giunge beato alla fine degli studi, pronto a rinunciare definitivamente a una libertà già da un pezzo rinnegata per entrare a far parte di una comunità di simili a lui; e non c’è da stupirsi se il progresso scientifico, le grandi scoperte che hanno portato un reale beneficio all’umanità siano avvenute al di fuori delle istituzioni ad opera di avanguardie, per lo più all’opposizione (5).
II rimedio a tanto male va ben oltre l’ambito scolastico; tuttavia anche entro questo limite Kropotkin avanza alcune interessanti proposte alternative, che solo in parte e in superficie concordano con quelle di alcuni pedagogisti contemporanei compresi sotto l’etichetta dell’attivismo ma in realtà sono molto distanti nelle motivazioni nelle finalità. Infatti mentre questi ultimi restano legati alle strutture borghesi limitandosi al più a indicare caute riforme, Kropotkin parte dal presupposto che educazione e scuola non potranno mutare radicalmente se non in rapporto profondi cambiamenti sociali. Il rifiuto di qualsiasi autoritarismo palese od occulto comporta anzitutto la trasformazione dell’insegnante da dogmatico dispensatore di verità e inappellabile giudice in compagno di lavoro, da esecutore passivo di direttive dettate dall’alto in autonomo e responsabile! organizzatore di un’opera la quale senza mai perdere di vista le finalità sociali, deve partire dalla scoperta delle attitudini individuali. Infatti «la varietà dei gusti e dei bisogni è la principale garanzia de! progresso dell’umanità» e «siccome tutti gli uomini non possono e non debbono assomigliarsi, ci saranno sempre, ed è sperabile che ci siano, coloro che proveranno lo stimolo di bisogni superiori alla media comune verso una direzione qualsiasi» (6). E costoro sono i più sacrificati dai metodi didattici caratteristici di tutte le pedagogie autoritarie, fondati sull’acquisizione verbalistica e mnemonica, che impediscono ostacolano ogni apprendimento che sia conquista personale e ignorano il fare, ossia il concorso di qualsiasi processo operativo in appoggio all’intellettuale, si valgono di manuali, per lo più compilati in un linguaggio astruso e zeppi di deformazioni e manipolazioni, ignorando la ricerca personale, l’esperimento, la lettura diretta degli autori e dei documenti, incuranti che a qualsiasi livello non conta tanto la quantità di sapere quanto l’acquisizione di corretti metodi di indagine.
Kropotkin è convinto che il vertiginoso espandersi delle conoscenze e del numero degli studenti (i quali a differenza che in passato hanno forti limitazioni di tempo e di danaro) esigono procedimenti didattici nuovi capaci di eliminare il colossale e assurdo spreco di tempo e di energie che si verifica in tutte le scuole e in ogni branca d’insegnamento (7). A questo fine suggerisce un aggiornato e razionale impiego del metodo ciclico, nel quale le medesime cognizioni, sistemate in un tutto organico e coerente, siano presentate nei successivi gradi di scuola e quindi a diversi livelli di età degli alunni in misura sempre più larga e approfondita ma sempre in modo da dare una visione completa di tutta la realtà: «Se nell’istruzione si adottasse in maniera generale il sistema dei corsi concentrici, adatti alle varie fasi dello sviluppo umano, già la prima fase, eccettuata la sociologia, potrebbe dare un’idea generale dell’universo, della terra e dei suoi abitanti, dei principali fenomeni fisici, chimici, botanici; ma solo nei cicli seguenti di studi più profondi e più specializzati il fanciullo scoprirebbe o più esattamente imparerebbe le leggi di quei fenomeni» (8). Non meno indispensabile è il radicale cambiamento dei contenuti culturali attualmente disorganici, anacronistici ed estranei così ai bisogni della società come agli interessi dei giovani, in modo da adeguarli al sempre più rapido ritmo del progresso scientifico e da permettere all’alunno di estendere la conoscenza in ogni campo fino al limite delle personali capacità. Essi debbono non solo comprendere ma connettere intimamente le materie letterarie con le scientifiche così da presentare come un tutto unitario la vita infinitamente varia e dinamica dell’umanità e della natura e far posto anche alla pratica attività dell’uomo, almeno nelle forme fondamentali. I ricordi degli studi compiuti nell’adolescenza gli confermano che è possibile ai professori di materie storiche e umanistiche «grazie a un’alta visione filosofica e umana» rendere unitario l’insegnamento e risvegliare nei giovani nobili ideali è sublimi aspirazioni; e non dubita che altrettanto possano fare quelli di materie scientifiche (9). Sostiene pure la necessità di trasformare in «sociali e popolari» i vecchi programmi metafisici e aristocratici, senza per questo dequalificarli e immiserirli e senza neppure escludere tutto ciò che un tempo si considerava volto a soddisfare «bisogni di lusso» cioè i prodotti della creazione artistica: essi pure debbono costituire un godimento offerto a tutti e non a pochi fortunati (10).
3. L’istruzione integrale
Letteratura, scienza e arte non bastano tuttavia alla formazione dell’uomo moderno, non più destinato a una vita contemplativa od oziosa ma all’universale dovere del lavoro: Kropotkin, riprendendo e approfondendo un motivo non nuovo nel pensiero libertario e anarchico, su cui hanno particolarmente insistito Fourier e Bakunin, è persuaso che occorra aggiungere all’esercizio della mente quello della mano nell’interesse sia del singolo che della collettività. Una scuola fatta in modo da dare a pochi un sapere astratto, avulso da qualsiasi applicazione pratica e a molti un addestramento del tutto meccanico, o al massimo una precoce specializzazione è un avanzo di medioevo e un aspetto inaccettabile della struttura classista della società: «Noi affermiamo che nell’interesse della scienza e dell’industria, come pure nell’interesse della società considerata nel suo insieme, ogni essere umano, senza distinzione di nascita, dovrebbe ricevere un’educazione che gli permettesse di acquistare una nozione profonda delle scienze, contemporaneamente a una cognizione seria di un mestiere. Ammettiamo perfettamente che sia necessario specializzarsi nei propri studi, ma sosteniamo che questa specializzazione deve venire sol. tanto dopo un’educazione generale, e che questa educazione generale deve comprendere tutte le scienze e il lavoro manuale. Alla divisione della società in lavoratori intellettuali e lavoratori manuali noi opponiamo la combinazione dei due ordini di attività; e invece dell’insegnamento professionale che sottintende il mantenimento della separazione attuale, noi con i fourieristi e con alcuni fondatori dell’internazionale «loro allievi e con molti scienziati moderni, preconizziamo l’educazione integrale, l’educazione completa che determina la scomparsa della perniciosa distinzione» (11). Il rifiuto della dicotomia tra scuole di cultura e scuole tecnico-professionali è motivato con argomenti di natura non solo sociale ma anche pedagogica: Kropotkin che nella giovinezza durante i viaggi in Siberia ha avuto modo di sperimentare l’immensa virtù «costruttiva» del lavoro manuale attuato con intelligenza, consapevolezza del fine e assenza di costrizione, sempre più si convince che è indispensabile per la manifestazione e l’esercizio delle attitudini, per lo sviluppo armonico e completo di tutte le facoltà (12). Infatti le teorie astratte acquistano per l’alunno significato e valore solo al momento in cui le applica e non quando le riceve verbalmente dal maestro; qualsiasi insegnamento per riuscire efficace deve procedere parallelamente a livello teorico e operativo ; qualsiasi presunta verità, per diventare effettivamente tale, ha bisogno di essere dimostrata dai fatti e solo a questa condizione diviene stimolo alla continuazione della ricerca e all’approfondimento del lavoro personale.
«Avviando gli alunni a imparare senza prove pratiche, a fidarsi del libro, delle autorità, soffochiamo in germe ogni loro pensiero indipendente e solo assai di rado così noi riusciamo a far imparare realmente ciò che insegniamo. La superficialità, lo psittacismo, il servilismo e la pigrizia intellettuale – peste dell’epoca nostra – sonò i risultati del nostro metodo d’istruzione. Noi non inculchiamo nei nostri fanciulli nemmeno l’arte d’imparare» (13).
Il vero scopo dell’introduzione del lavoro manuale in tutte le scuole non sta affatto nella specializzazione ma nel far sì che l’alunno apprenda dalla diretta esperienza delle cose più che dalle parole e nel dare alimento al suo spirito creativo, in quanto l’attività pratica offre validi e insostituibili suggerimenti all’elaborazione intellettuale.
Cultura generale e istruzione professionale non debbono perciò essere due settori differenti e separati riservati a uomini di diversa estrazione sociale, ma costituire per tutti la base comune formativa, dove la seconda è approfondimento della prima. Solo così ogni giovane, lasciando la scuola al termine dell’adolescenza, sarà in grado di occupare il posto che più gli si adatta nell’immenso esercito dei produttori (14).
La scuola dell’avvenire non potrà sottrarsi a questa esigenza: «Si avrà un bel dire, ma si sarà obbligati a venire all’insegnamento integrale, l’insegnamento che con l’esercizio della mano sul legno, sul marmo, sul metallo parla al cervello e lo aiuta a svilupparsi. Si arriverà a insegnare a tutti il fondamento di tutti i mestieri e di tutte le macchine, lavorando (secondo sistemi già elaborati) al banco, alla morsa, plasmando la materia, facendo le parti fondamentali di ogni cosa e di ogni macchina e macchine semplici e trasmissione di forza, al che si riducono tutte le macchine. Si dovrà arrivare alla integrazione del lavoro manuale col lavoro cerebrale, che già predicavano Fourier e l’internazionale, e che si trova già applicata in alcune scuole degli Stati Uniti, e si vedrà allora l’immensa economia di tempo che si realizzerà nei giovani cervelli, sviluppati insieme per il lavoro manuale e per il lavoro cerebrale» (15).
4. Insegnare tutto a tutti
Kropotkin riprende, aggiorna e cala nella realtà già industrializzata del suo tempo l’ideale pansofico comeniano; bisogna insegnare tutto a tutti in modo che ogni essere umano, senza alcuna discriminazione, realizzi pienamente se stesso e sia quanto più possibile utile alla collettività. Sa bene che, nonostante le molte affermazioni di principio e le leggi sull’obbligo scolastico, l’istruzione è rimasta privilegio di ristrette minoranze, ma confida in non lontani mutamenti, conseguenza di un diverso assetto sociale. La convinzione che tutti hanno diritto al sapere come hanno diritto al pane, presente in lui fin dalla giovinezza – quando avverte il disagio di essere anche in questo senso un privilegiato – si consolida con il passare degli anni (16). E ha parole sempre più dure non solo contro gli intellettuali in quanto casta chiusa serva del potere ma anche nei confronti di una società che, schiava di vieti pregiudizi, tiene ancora le donne assai più che i maschi nell’ignoranza o impartisce loro fin dalla più tenera età una formazione – meglio sarebbe dire deformazione – corruttrice fatta di letture assurde, di conversazioni frivole, di modelli di vita in cui nulla c’è di bello, di entusiasmante e che permette al padre o al marito, per cui sono strumento di lavoro o oggetto di lusso, di distruggerne la personalità limitandone fin dalla nascita l’autonomia e lo spirito d’iniziativa. Anche la donna ha diritto a essere educata come l’uomo e per gli stessi fini, il che tuttavia sarà impossibile fin che su di essa peserà la schiavitù del lavoro domestico (17).
Urge quindi dare a tutti il modo di soddisfare non soltanto i bisogni primari ma anche gli intellettuali, permettere a chiunque il completo svolgimento delle attitudini, l’accesso e il godimento del sapere fino ai più alti gradi, la gioia della contemplazione artistica, lo svago dopo il lavoro, ossia la possibilità di vivere una vita umana e di educare i figli così da farne dei membri liberi e uguali di una società migliore della presente. Impresa certo ardua ma facilitata dal perfezionamento tecnico che sempre più abbrevierà e alleggerirà la fatica chiesta dalla produzione. Né c’è da temere che il sapere risulti degradato dalla sua diffusione, pericolo che si può evitare predisponendo in tempo gli indispensabili cambiamenti nei programmi, metodi, libri di testo, preparazione e ruolo degli insegnanti. Anzi, la scuola avrà tutto da guadagnare trasformandosi in un’organizzazione d’avanguardia volta alla costruzione di un mondo nuovo; e così pure le scienze e le arti, se diventeranno un patrimonio comune (18).
5. Attualità di una proposta
Quale che sia il giudizio su questa proposta educativa, anche chi la considera troppo ardita o addirittura in tutto o in parte utopica, deve riconoscere che pone molti problemi ancora oggi scottanti ed insoluti, tra cui particolarmente interessanti quelli relativi alla scuola di massa, conseguenza dell’universale diritto allo studio e all’istruzione integrale, ossia a una formazione che comprenda per tutti e in posizione non subalterna il lavoro manuale. Quest’ultimo tema in particolare occupa un posto di primo piano nei dibattiti in corso sulle riforme scolastiche: non è infatti senza preoccupazione crescente che politici, sociologi e pedagogisti vedono la scuola, proprio perché legata a vecchi schemi intellettualistici, non solo subita o rifiutata dalla maggior parte dei giovani ma sempre più inadatta a formare l’uomo richiesto dalla civiltà moderna, il lavoratore capace di usare bene e volentieri le mani quanto il cervello e preparato a vivere responsabilmente in un mondo sempre più complesso. Al punto che comincia a venir meno la già solida e universalmente accettata convinzione, di lontana origine illuministica, che la vuole indiscutibile fattore di progresso e di pace, e sempre più insistente e insidioso si fa strada il dubbio che, al contrario, restando immutata in un mondo che cambia, finisca per diventare sul piano economico sociale, oltre che culturale, fonte di squilibri sempre più gravi, dolorosi e pericolosi: come Kropotkin lucidamente prevede e ammonisce.
Note
(1) Lettera a F. Ferrer, in L’università popolare, 1908, p. 338.
(2) La morale anarchica (1891) e Anarchici fiorentini, s.d., p. 45; L’etica (1921), Edigraf,
Catania, 1972, pp. 24-25. «Noi non esitiamo a dire ‘fa’ ciò che vuoi, fa’ come vuoi’, perché siamo persuasi che l’immensa massa degli uomini, a mano a mano che sarà illuminata e spoglia degli impacci attuali, farà e agirà sempre in una certa maniera utile alla società» (La morale anarchica, cit., p. 42).
(3) Lettera a F. Ferrer, cit.
(4) Parole di un ribelle, (1885), Casa Editrice Sociale, Milano, 1921.
(5) Kropotkin critica aspramente i programmi delle scuole statali che dicono alle famiglie: «Noi redigeremo i nostri programmi, che non ammettono critica. Dapprima abbrutiremo i vostri figli con lo studio delle lingue morte e delle virtù delle leggi romane. Ciò li rende docili e sottomessi. (...) Faremo loro credere che, avendo appreso il latino, essi siano il sale della terra, che senza loro l’umanità perirebbe, che la miseria delle masse è legge di natura» (Parole di un ribelle, cit. p. 212).
(6) Kropotkin insiste che solo rispettando le attitudini si possono ottenere risultati utili per il singolo e la collettività: «II tal giovanetto, pigro per il latino e per il greco, lavorerebbe come un negro se lo si iniziasse alla scienza soprattutto per il tramite del lavoro manuale. La tal ragazza, giudicata ignorante in fatto di matematiche, diventa la prima matematica della sua classe se le capita d’incontrarsi per caso in qualcuno capace di spiegarle efficacemente ciò che ella non comprendeva negli elementi di matematica» (La conquista del pane, 1892, Libreria Internazionale d’Avanguardia, Bologna, 1948, p. 122). Vedi anche pp. 80 e 125.
(7) Lettere a F. Ferrer, cit.
(8) Lavoro intellettuale e lavoro manuale (1899), Casa Editrice Sociale, Milano, 1923, p. 32.
(9) Memorie di un rivoluzionario (1899), Feltrinelli, Milano, 1969, p. 64.
(10) Lettera a F. Ferrer, cit., e La conquista del pane, cit., p. 87 e segg.
(11) Lavoro intellettuale e lavoro manuale, cit., p. 23.
(12) A che servono i progressi dell’industria (1988), «Il Pensiero», 1908, novembre, p. 307.
(13) Lavoro intellettuale e lavoro manuale, cit., p. 23.
(14) Kropotkin riconosce alle scuole frequentate nella giovinezza il merito di aver saputo combinare in qualche misura il momento teorico con l’applicazione pratica (Memorie di un rivoluzionario, cit.). Tra le scuole in seguito conosciute, cita come esempio la professionale di Mosca, a cui tuttavia imputa il grave difetto di trascurare la formazione umana. Gli alunni, accolti all’età di 15 anni con un’istruzione di livello elementare, ne uscivano dopo cinque o sei anni di corso con una preparazione scientifica a livello universitario ed eccezionali capacità tecniche. Questo perché «nell’insegnamento scientifico gli esercizi di pura memoria erano poco in onore, mentre erano favorite con tutti i mezzi le ricerche indipendenti. S’insegnavano le scienze contemporaneamente alla loro applicazione, e ciò che s’imparava nella scuola veniva applicato nel laboratorio. (...) Non si mandava lo studente all’officina per imparare un mestiere che gli permettesse di guadagnarsi la vita il più presto possibile, ma gli si insegnava l’arte della tecnica in generale, le basi, la filosofia, dei mestieri fondamentali». Questo dimostra che «bisogna sempre considerare il problema dell’istruzione nelle sue grandi linee, invece di far sì» che (l’alunno) acquisti virtuosità in un mestiere qualunque contemporaneamente a poche e vaghe nozioni di scienza. Esso prova altresì che si possono avere risultati simili senza eccessi di lavoro, se si mira sempre a un’economia razionale del tempo dedicato allo studio e se non si separa la teoria della pratica» (Lavoro intellettuale e lavoro manuale, cit., p. 24 e segg.).
(15) Lettera a F. Ferrer, cit.
(16) «Chi nella vita ha provato una volta questa gioia della creazione scientifica non la dimenticherà mai più ed anelerà sempre a rinnovarla (...). Ma non potrà che rammaricarsi che questa gioia sia riservata solo a pochi, quando tanti potrebbero provarla, in grande o in piccolo, se il metodo scientifico ed il tempo necessario non fossero privilegio di pochi uomini». «Ma che diritto avevo io di questa gioia, quando intorno a me non vi era che miseria e lotta per un tozzo di pane ammuffito?» (Memorie di un rivoluzionario, cit., pp. 168 e 176).
(17) La conquista del pane, cit., pp. 52 e 97.
(18) La scuola: che cos’è, che cosa dovrebbe essere, «Il Pensiero», settembre 1909, p. 261.