Murray Bookchin nasce a New York il 14 gennaio 1921 in una famiglia di immigrati russi di origine ebraica. Tanto la famiglia del padre, Nathan Bookchin, quanto quella della madre, Rose Kaluskaya, sono emigrate in America all’inizio del secolo, come migliaia di altri ebrei che lasciano l’impero russo a causa delle persecuzioni religiose e dell’estrema povertà in cui vivono. Ma i nonni materni, Zeitel Carlat e Moshe Kalusky, entrambi populisti rivoluzionari, hanno un altro buon motivo per espatriare: sottrarsi alla repressione zarista.
Negli Stati Uniti la storia delle due famiglie è come quella dei tanti immigrati ebraici: entrambe vivono nel Lower East Side di New York, lavorando per lo più come sarti nei famigerati sweatshop. Non a caso la madre Rose si iscrive giovanissima alla IWW, il sindacato libertario. Ben presto i genitori si separano e Murray, figlio unico, viene di fatto allevato dalla nonna materna, l’ex populista Zeitel, che non solo gli darà un’educazione rigorosamente laica e rivoluzionaria, ma crescerà Murray nella cultura (e nella lingua) che meglio conosce: quella russa, con Herzen e Tolstoj come numi tutelari. Non sorprende dunque che il primo ricordo “politico” di Murray è l’indignazione della nonna per l’esecuzione di Sacco e Vanzetti nel 1927.
Dopo la morte di Zeitel, Murray si “americanizza” rapidamente, anche se la sua formazione intellettuale e politica è inizialmente influenzata da un marxismo di chiara origine europea, e infatti, come buona parte della sua famiglia, aderisce alle organizzazioni giovanili del Partito comunista. Ma nel 1936 in Spagna scoppia la guerra civile, o meglio quella che Murray considera la nuova rivoluzione proletaria. Nonostante sia solo quindicenne, prova ad arruolarsi come volontario nelle Brigate Internazionali, per l’esattezza nella Brigata Lincoln, ma non viene accettato a causa della giovane età. Eppure sarà proprio la guerra civile spagnola, con il suo sanguinoso scontro all’interno dello stesso fronte antifascista, che si rivelerà cruciale per la sua definitiva formazione etico-politica.
In quegli anni inizia a lavorare come operaio metalmeccanico e ben presto diventa un organizzatore sindacale. Ma la sua traiettoria politica comincia a prendere un’altra direzione, soprattutto in concomitanza con i processi staliniani prima e con il patto Molotov-Ribbentrop poi, che lo spingono a lasciare il partito comunista e ad avvicinarsi per un breve periodo al trotzkismo. Ma la rottura definitiva con il marxismo avviene a partire dalla sua esperienza di sindacalista. Si rende infatti conto sul campo che la classe operaia, lungi dall’essere il soggetto storico rivoluzionario postulato dalla teoria marxista, si sta rapidamente integrando nel sistema socio-economico capitalistico.
Bookchin individua in particolare due macro fenomeni in atto che dimostrano le potenzialità distruttive di questo capitalismo trionfante, soprattutto quando si coniuga con uno statalismo sempre più pervasivo: se il primo fenomeno è certamente il degrado, o meglio il saccheggio, dell’ambiente naturale, il secondo è lo sfaldamento del tessuto urbano e del concetto di cittadinanza. Ed è proprio questa diversa prospettiva che lo avvicina a un pensiero politico, le cui pratiche e i cui valori sono più in sintonia con questa nuova visione sociale: l’anarchismo, soprattutto nella formulazione che ne dà Pëtr Kropotkin.
Il percorso intellettuale che Bookchin intraprende nel secondo dopoguerra lo porta a elaborare un’analisi storico-politica che non si limita più alle dinamiche socio-economiche in atto nella società contemporanea, ma prende in considerazione l’intera storia dell’uomo. Il suo obiettivo è rintracciare l’emergere del dominio nelle società umane e di converso rintracciare l’emergere della libertà. All’inizio degli anni Cinquanta comincia un’intensa attività di scrittore, pubblicando libri e saggi pionieristici che segneranno la nascita del pensiero ecologico moderno. Il suo primo libro sull'argomento, Our Synthetic Environment, pubblicato con lo pseudonimo di Lewis Herber, risale al 1963, ma è preceduto da vari saggi pubblicati in riviste come “Contemporary Issues”, “Comment” e “Anarchos”. Ed è proprio grazie a Bookchin che il termine “ecologia” fa la sua comparsa nel dibattito politico della nascente New Left americana.
Come già nei decenni precedenti, anche nella seconda metà del Novecento la storia di Bookchin non è solo una storia intellettuale. Dai primi anni Sessanta vive nell’East Village di Manhattan, che è all’epoca uno dei principali centri della controcultura americana; e infatti gira l’America con Allen Ginsberg, uno dei maggiori esponenti della Beat Generation. In quel decennio contribuisce anche alla nascita di alcune importanti esperienze comunitarie, come la Cold Mountain Farm, collabora con il Congress on Racial Equality e fonda due gruppi anarchici: l’East Side Anarchists e il celebre Up against the Wall Motherfuckers. La sua influenza sulla New Left tocca l’apice proprio in questo periodo, tanto che il suo pamphlet Listen Marxist!, uscito alla fine del decennio e fortemente critico con la deriva vetero-marxista intrapresa dal movimento, vende oltre centomila copie.
Il progressivo riflusso del movimento negli anni Settanta convince Bookchin che il futuro dell’azione rivoluzionaria non sta più nei grandi centri urbani ma in quei piccoli centri dove sono ancora vive le tradizioni di democrazia diretta e dove si possono quindi concretamente sperimentare nuove forme comunitarie. Nel 1971 si trasferisce definitivamente nel Vermont, dove la democrazia faccia-a-faccia dà ancora segni di vitalità nei tradizionali town meetings della democrazia americana. Ed è in questo contesto che elabora le sue tesi sul municipalismo libertario, basate su una nuova idea di cittadinanza e di democrazia dal basso.
In parallelo porta avanti la sua riflessione ecologica, che lo porta a fondare nel 1974, insieme all’antropologo Dan Chodorkoff, l’Institute for Social Ecology, tuttora attivo. Ed è appunto in questo contesto che elabora l’idea di ecologia sociale, che ritroviamo nelle sue opere maggiori come Post Scarcity Anarchism, I limiti della città, Per una società ecologica (che esce prima in italiano che in inglese) e soprattutto L’ecologia della libertà, uscita nel 1980 e da tutti considerata la sua opera maggiore.
Bookchin avrà uno stretto e duraturo rapporto con l’Italia e con il Centro studi libertari in particolare. Durante gli anni Ottanta e Novanta verrà diverse volte in Italia per tenere conferenze in varie città italiane, dal Friuli alla Sicilia, e per partecipare ad alcuni convegni internazionali e in particolare all’Incontro internazionale anarchico “Venezia ‘84”.
Con il passare dei decenni i suoi testi fondamentali – a cui si aggiungono opere come Urbanisation without cities o The Next Revolution, Popular Assemblies and the Promise of Direct Democracy – vengono tradotti in molte lingue, tra cui il turco. E sarà proprio grazie a questa traduzione che il suo pensiero influenzerà la lotta del popolo curdo, che sperimenterà nel Rojava siriano, nonostante l’aspro conflitto in atto, alcune forme di democrazia diretta e di comunalismo libertario che si rifanno esplicitamente alle sue tesi sul municipalismo libertario.
Murray Bookchin muore a Burlington il 30 luglio 2006, lasciandoci in eredità la sua possente visione ecolibertaria, fatta di pensiero e azione, di lucidità critica e immaginazione prefigurativa.
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