Un infiltrato nei gruppi anarchici al servizio dell’Ufficio Affari Riservati di Roma e dell’Ufficio politico milanese nella persona di Luigi Calabresi
Questo breve scritto ha l’obiettivo di contestualizzare la figura di Enrico Rovelli affinché, anche al lettore occasionale, non sfugga il ruolo assai rilevante che egli ha ricoperto nelle vicende relative all’assassinio di Giuseppe Pinelli e ai fatti di piazza Fontana che hanno coinvolto in prima persona i redattori del Bollettino della Crocenera e che ai tempi in cui il Bollettino veniva pubblicato erano ancora all’oscuro del suo ruolo.
La ricostruzione della figura di Rovelli qui tratteggiata è ampiamente debitrice del lavoro di Enrico Maltini e Gabriele Fuga raccolto nel libro Pinelli. La finestra è ancora aperta nonché a un sagace e puntuale articolo di Luciano Lanza.
Enrico Rovelli, nato a Erba nel 1944, si avvicina agli ambienti anarchici nei primi anni Sessanta frequentando principalmente il circolo Ponte della Ghisolfa di Milano, pur non facendo parte di alcun gruppo specifico. Fin dall’inizio frequenta l’ambiente militante in modo sporadico, non partecipa alle riunioni politiche apportando perlopiù un aiuto materiale all’occorrenza. Come riportato da Fuga e Maltini nel loro libro Pinelli. La finestra è ancora aperta, “si dà da fare per il montaggio di palchi in occasione di manifestazioni (possiede un furgone), è stato attivo nell’organizzazione di un campeggio anarchico estivo a Colico (LC) nel 1967 e frequenta quelli europei, in particolare in Francia”. Sempre Fuga e Maltini riportano: “Non ci si fida del tutto di lui, considerato un po’ ‘malavitoso’ e inaffidabile, ma viene accettato soprattutto in quanto frequentatore di vecchia data”. Fin da subito dunque la figura di Rovelli suscita sospetti che scopriremo poi essere molto fondati…
Enrico Rovelli infatti non è ciò che sembra. In certi ambienti, quelli della polizia e dei servizi segreti, è conosciuto con il nome in codice Anna Bolena e di mestiere fa l’informatore.
Il suo ruolo verrà in un primo momento alla luce nel maggio 1974 nell’ambito delle indagini sulla strage perpetrata da Gianfranco Bertoli alla Questura di Milano. Il PM Antonio Lombardi, mentre indaga, trova all’interno di un faldone intitolato “Anarchico francese di nome Jean Pierre” un lungo appunto inviato dal maresciallo Ermanno Alduzzi, referente milanese dello UAR (Ufficio affari riservati) e capo della Squadra 54[1], a Silvano Russomanno, braccio destro del capo effettivo dello UAR Umberto Federico D’Amato. Si tratta di informazioni raccolte e “spifferate” da Enrico Rovelli (di cui Alduzzi è il referente in questura) riguardanti un campeggio anarchico tenutosi a La Roche in Francia nel 1970. Non solo i verbali di interrogatorio vengono pubblicati una volta concluse le indagini ma lo stesso Rovelli, chiamato a testimoniare durante il processo, ammette esplicitamente di essere stato anche confidente del commissario Luigi Calabresi. I sospetti degli anarchici milanesi sulle reali intenzioni di Rovelli vengono così confermati e il 17 luglio 1975 sul settimanale “Umanità Nova” compare un comunicato, corredato da una foto di Rovelli, che titola a caratteri cubitali ATTENTI A COSTUI, con il quale viene definitivamente smascherata la natura di agente informatore/provocatore di Enrico Rovelli alias Anna Bolena.
Ci sarà poi un secondo momento in cui le prove del ruolo e delle responsabilità di Enrico Rovelli nella campagna diffamatoria contro gli anarchici, e più in generale nella strategia della tensione, diventeranno ancora più evidenti e pesanti. Il 4 ottobre 1996, lo storico e consulente del giudice di Milano Guido Salvini, Aldo Giannuli, fa una scoperta inaspettata quanto sensazionale: in un anonimo deposito della via Appia a Roma trova circa 150 mila fascicoli appartenenti del ministero dell'Interno. Si tratta di fascicoli segreti, non catalogati, che contengono informazioni e reperti sull'operato dei servizi segreti italiani e in particolare dello UAR. Tra questi quasi settanta “appunti” di Alduzzi inviati durante i cinque anni di confidenze di Anna Bolena, tutti indirizzati sempre e solo a “sua eccellenza” il Russomanno.
Grazie a questi due eventi è stato possibile confermare quelli che a suo tempo erano sospetti non comprovati e chiarire a grandi linee il ruolo di Enrico Rovelli alias Anna Bolena.
Vediamo adesso più nel dettaglio quali sono stati i tempi e i momenti salienti dall’attività di informatore di Rovelli.
A detta sua il primo contatto con lo UAR sarebbe avvenuto nel settembre-ottobre 1969. In realtà sarà lo stesso Rovelli ad ammettere di conoscere Alduzzi, suo diretto referente in questura, sin dal 1° maggio 1963, in occasione di un arresto avvenuto durante una manifestazione ed effettuato proprio dall’Alduzzi, all’epoca in forza all’Ufficio Politico della Questura di Milano.
Lo stesso Alduzzi conferma in ben due distinte deposizioni che certe frequentazioni di Rovelli risalivano a ben prima del 1969. La prima dichiarazione, resa al giudice veneziano Carlo Mastelloni nell’ambito dell’inchiesta sull’abbattimento del velivolo militare Argo 16, recita testualmente: “Conobbi Enrico Rovelli nel 1962 quando ero capo dell’ufficio politico della Questura di Milano e lo accreditai all’Ufficio Affari Riservati nel 1964...”. La seconda venne resa a Milano alla dott. Pradella nel secondo processo sulla strage di Piazza fontana: “Nel 1964 circa accreditai il Rovelli come fonte agli Affari riservati parlandone a Russomanno, capo della IV° Sezione, competente per gli estremismi”.
Nonostante dunque le attività di informatore di Rovelli inizino già nei primi anni Sessanta, è nel 1969 – in relazione ad alcuni fatti legati alle bombe del 25 aprile e del 12 dicembre – che il ruolo di Rovelli assume maggior rilievo. Gli episodi che lo vedono protagonista in queste occasioni, seppur fugaci, sono con il senno di poi molto eloquenti…
Primo episodio. Il 21 agosto 1969, nel corso delle indagini per le bombe del 25 aprile dello stesso anno a Milano vengono arrestati a Riccione due «anarchici»: Tito Pulsinelli e Enrico Rovelli[2]. Mentre per Pulsinelli inizierà un lungo periodo di custodia cautelare in carcere, che terminerà solo il 28 maggio 1971[3], per Rovelli le sorti saranno diverse. Infatti la sera del 22 agosto, in seguito alla conferma del fermo da parte del pretore di Rimini, Rovelli giunge a Milano ma invece di essere condotto in carcere (luogo in cui si viene condotti in presenza di un fermo convalidato dall’Autorità Giudiziaria) viene condotto in Questura, dove secondo quanto da lui stesso dichiarato “fui indotto ad assumere un atteggiamento collaborativo con gli inquirenti, grazie alla reciproca stima che mi legava al commissario Calabresi” (dichiarazione di Rovelli alla Digos di Milano il 15.04.1997) e quindi viene... liberato[4]!
Secondo episodio. Sempre nel 1969, tra il 12 e la notte tra il 15 e il 16 dicembre, durante i giorni che separano lo scoppio della bomba di piazza Fontana dall’assassinio di Giuseppe Pinelli, Rovelli entra ed esce più volte dagli uffici della Questura dicendo agli anarchici del Ponte della Ghisolfa “Non capisco che cosa vogliano da me i poliziotti”. Tutti gli altri arrestati però sono stati o trattenuti o rilasciati, e nessuno dei rilasciati viene più richiamato. Questo fatto e il ruolo marginale di Rovelli nell’anarchismo milanese destano forti sospetti tra i compagni che cominciano a chiedersi il perché di questo strano andirivieni…
Terzo episodio. I sospetti si faranno quasi certezza per la facilità con cui Rovelli ottiene una licenza per aprire, nel febbraio del 1970 a Bollate, il locale da ballo «La carta vetrata». Non solo la licenza viene concessa, e già questo è da considerarsi un fatto straordinario viste le frequentazioni anarchiche di Rovelli, ma se si considera il brevissimo lasso di tempo intercorso fra i fatti di piazza Fontana e il rilascio della licenza, la cosa ha dell’incredibile.
Come abbiamo visto, tutti i dubbi accumulatisi su Rovelli in questi episodi verranno infine confermati grazie alle informazioni rese disponibili nel 1974 in seguito al processo Bertoli e nel 1996 dalla scoperta di Giannuli. Non si può concludere dunque se non sottoscrivendo le parole di Fuga e Maltini, che ricostruendo la figura di Rovelli affermano: “L’impressione che si ricava da tutto ciò è che il nostro confidente sia passato negli anni da piccole, occasionali spiate ad una prestazione di tipo professionale, come a dire da un impiego precario a un posto di ruolo”.
Bibliografia
Fuga Gabriele e Maltini Enrico, Pinelli. La finestra è ancora aperta, edizioni Colibrì, Milano, 2016.
Fuga Gabriele e Maltini Enrico, e 'a finestra c'è la morti, “A rivista anarchica”, n. 378, marzo 2013 (http://www.arivista.org/riviste/Arivista/378/121.htm)
Lanza Luciano, Quando Anna Bolena cantava in questura, lettera dattiloscritta [luglio 1997] in: fondo “Luciano Lanza”, Centro studi libertari/Archivio G. Pinelli; poi pubblicato su “Umanità Nova”, n. 22, 6 luglio 1997.
Lanza Luciano, Bombe e segreti. Piazza Fontana: una strage senza colpevoli, eleuthèra, Milano, 2009.
RISORSE
- Nome in codice "Anna Bolena". Piazza Fontana, un infiltrato del Viminale lavorò al depistaggio, articolo pubblicato su «La Repubblica» il 23 maggio 1997
- Tutti i materiali su Enrico Rovelli / Anna Bolena nella piattaforma del progetto "Pinelli: una storia"
[1] Le squadre sono strutture spionistiche non istituzionali create da D’Amato e il numero si riferisce alle diverse città, 54 è il numero attribuito alla squadra di Milano.
[2] Nella richiesta di intercettazione telefonica del 22 agosto 1969 per Giuseppe Pinelli inoltrata dalla Questura di Milano, con atto a firma del commissario Zagari, alla Procura della Repubblica di Milano, Tito Pulsinelli, Enrico Rovelli ed altri – tra cui Giuseppe Pinelli – vengono identificati come «giovani anarchici già legati al gruppo terroristico»; cfr. Fuga Gabriele e Maltini Enrico, Pinelli. La finestra è ancora aperta, edizioni Colibrì, Milano, 2016. p. 245.
[3] Tito Pulsinelli, assieme agli anarchici Paolo Braschi, Paolo Faccioli e Angelo Pietro della Savia, è accusato di aver partecipato agli attentati del 25 aprile 1969 in cui tre bombe esplodono a Milano, una al padiglione della FIAT presso la Fiera campionaria di Milano e due all’ufficio cambi della Stazione Centrale. L’accusa risulterà poi infondata tanto che verranno tutti assolti al processo del 1971. Anni dopo, per i fatti in questione, verranno condannati in via definitiva due neofascisti veneti appartenenti a Ordine Nuovo: Franco Freda e Giovanni Ventura.
[4] Da sottolineare qui che l’Ufficio Politico della Questura di Milano si sostituisce al magistrato, unico competente a provvedere alla “liberazione” di una persona cui è stato convalidato il fermo, e rilascia Rovelli. La motivazione? Per mancanza di indizi…