[estratto dal Bollettino 60]
Paley
di Goffredo Fofi
I versi di Grace Paley che sono diventati più famosi sono quelli che dicono: “Volevo scrivere una poesia / e invece ho fatto una torta”. Cosa c'è di più semplice, di meno alato, e si potrebbe anche dire di meno “poetico” se dessimo alla parola poesia il significato che le si dà abitualmente, tanto ambizioso quanto scolastico... E che dire dei suoi racconti sui “piccoli contrattempi del vivere”, sugli “enormi cambiamenti all'ultimo minuto”, affettuosi e ironici e decisamente accessibili a tutti nel loro parlare di situazioni e sentimenti comuni, intorno alla vita quotidiana di tanti, una vita che possiamo ben dire “di maggioranza”, proletaria e popolare, in quei quartieri affollati di grandi città che sembrano somigliarsi tra loro dovunque. Oggi come in uno ieri ancora vicino – che risale bensì allo sviluppo delle grandi città raccontato mirabilmente dai grandi romanzieri inglesi americani francesi russi, tra Otto e Novecento.
Nei racconti, Grace – mi permetto di chiamarla per nome perché l'ho conosciuta quando venne la prima volta a Milano chiamata da Laura Lepetit che aveva fatto tradurre i suoi racconti, e perché molto simpatizzammo, d'accordo su tante cose, letterarie come “politiche”... - ebbe un rivale in Raymond Carver, un grande, caloroso rinnovatore di quel genere letterario, ma si trattò di un rivale che era in verità un amico, un solido amico. Grace Paley mi fece pensare, un po' anche fisicamente, a certe figure di madri dei film western di John Ford – anche se molto più giovane e più snella, per esempio della madre di Tom Joad (Henry Fonda) in Furore. Forte e saggia, solidissima nei suoi valori, nel suo “progetto” di vita, ché anche lei ha conosciuto bene le fatiche dei proletari, dei non-ricchi, nella società del Capitale... Chiara e decisa nella distinzione tra ciò che è bene e ciò che è male, cosciente delle loro origini sociali, ben sapendo da chi il male dipende e si sprigiona...
La poesia, dunque: una semplicità immediata ma sapiente, quella di chi conosce bene la letteratura e la poesia più alte e più immediate, in una chiave che oso definire per molti aspetti “tolstojana”. E però dentro una storia nuova, e specifica, quella della città del Capitale, quella che Grace ha visto nell'infanzia ascoltando le storie delle tante persone che ha frequentato, curiosa delle vite e delle passioni e dei sogni dei proletari – e soprattutto delle proletarie – di cui lei e i suoi amici e parenti hanno condiviso le sorti...
L'ironia l'ha sorretta, nelle fatiche e nei progetti, o piuttosto l'auto-ironia. Sono qualità poco diffuse tra i letterati importanti, quelli che non si distraggono a “fare una torta” (un esempio di solidarietà e altruismo sia familiare che amicale e perfino di appartenenza “di classe”), anche se crediamo, con lei, che “fare una poesia”, una bella poesia (e lei lo sapeva benissimo) sia una cosa più importante nonostante la sua efficacia in tutti i sensi lontana. Non trascurò nessuna delle due vocazioni e qualità, Grace Paley, ottima cuoca e ottima poetessa che voleva portare al prossimo qualcosa di nutriente e di confortante. Grazie a Grace dunque (mi si perdoni il giochetto), alla carissima Grace: perché ha saputo scrivere racconti e poesie che ci riguardano e che riguardano più i poveri e le persone comuni che non i ricchi. Anche per questo resteranno, dettati, poesie e racconti, da un bisogno di comunicazione espanso, affettivo, solidale... E diciamo pure fraterno (o materno), diciamo pure sociale e socialista... aspirazioni e qualità da tempo assai rare, che ce l'hanno resa così vicina e così amabile, così “nostra”...