Nell’impossibilità di replicare alla marea di livorose imbecillità anti-anarchiche che sta montando al momento, come Archivio Giuseppe Pinelli non possiamo però esimerci dall’intervenire a proposito delle dichiarazioni fatte da alcuni individui afferenti alla commissione parlamentare cultura sull’Archivio Storico della Federazione Anarchica Italiana. Sono dichiarazioni che, pur nominando solo l’ASFAI (probabilmente per semplice incompetenza, perché era troppo difficile individuare i nomi di altri soggetti), sono ovviamente riferibili a tutti gli archivi anarchici.
Viene richiesto di togliere qualsiasi riconoscimento (e finanziamento) pubblico a ogni archivio che faccia “apologia di terrorismo”, chiedendo persino l’intervento del Ministero dell’Interno per individuare sui loro scaffali eventuali documenti “pericolosi”, che nulla avrebbero a che fare con le “carte storiche” che un archivio dovrebbe conservare.
Da tali affermazioni emergono – poco sorprendentemente – concezioni della storia e della cultura a dir poco problematiche. Si confonde innanzitutto il lavoro culturale degli archivi con la propaganda politica. Se gli archivi non potessero preservare tutti i documenti esistenti in merito a un movimento politico, o riferiti a un certo periodo storico, che tipo di storia si finirebbe a fare? Forse lo sappiamo: come emerso da alcune parti del discorso inaugurale del nuovo governo, appare evidente la passione per cancellare o riscrivere le pagine di storia italiana non gradite (e qui potrebbe essere illuminante approfondire, per esempio, quali forze politiche erano nella Resistenza e quali nella Repubblica di Salò).
Una componente non secondaria del ragionamento in merito all’ASFAI è l’assioma “anarchico uguale terrorista”, tornato in questi giorni nuovamente alla ribalta. Dando per buona la definizione di terrorista, che in questo periodo viene applicata in maniera disinvolta anche per bollare atti terrificanti come delle scritte sui muri, che cosa stanno cercando di dirci? Che bisognerebbe dare alle fiamme testi e documenti che parlano di pratiche e idee violente? E che ne facciamo allora degli archivi di storia militare? Che ne facciamo degli istituti di storia risorgimentale dato che gran parte dei patrioti italiani possono essere considerati dei terroristi a pieno titolo (a partire da Mameli, ferito mortalmente sulle barricate della Repubblica Romana mentre sparava al potere costituito)?
In altre parole, dev’essere il Ministero dell’Interno a decidere quali documenti possano essere conservati? In questo caso, proprio come sono state inventate alcune fantasiose denominazioni per diversi ministeri, ne poteva beneficiare anche quello alla Cultura, diventando ad esempio il Ministero della Cultura Autorizzata.
La storia dell'anarchismo – pur non essendo per ovvi motivi storia dello Stato italiano – fa parte a pieno titolo della storia italiana, sia per il contributo degli anarchici a momenti storici decisivi, sia per l'influenza (spesso non riconosciuta) dei suoi contenuti sulla più generale cultura. Lo Stato può pure decidere di non finanziare la preservazione di questo patrimonio storico e culturale – che peraltro è in buona parte autogestito – ma siamo curiosi di sapere quale criterio adotterà nella selezione dei soggetti da finanziare con la cosa pubblica. Quella annunciata è un'eccezione per gli anarchici o si allarga a tutte le "forze antisistema"? Perché, in questo secondo caso, che si dovrebbe fare con gli istituti che si occupano di storia del fascismo (e sia chiaro che noi non siamo per la cancel culture)?
È cosa nota che la storia sia in buona parte scritta dai vincitori, ma da qui a tornare alle veline di polizia per parlare degli anarchici – come si sta facendo adesso – è davvero un segno dei tempi. Che non sono tempi di "terrore", ma di miseria politica e di eroi di cartapesta.