di Tomás Ibáñez ottobre 2024
Procederò a una brevissima panoramica dell’anarchismo prima, durante e dopo Venezia 84. Ma in queste giornate del 2024, che costituiscono un ritorno al presente di Venezia 84, non può mancare un cenno a chi ha organizzato l’evento di quarant’anni fa perché, ancor prima che si tenesse, la loro iniziativa e la loro azione era già in piena consonanza con quelle che sarebbero state le caratteristiche e il significato dell’evento stesso.
Infatti per metterlo in piedi non era necessario avere dietro di sé una potente organizzazione anarchica; bastava la ferma volontà di un piccolo collettivo; era sufficiente avere l’audacia perché i rischi erano evidentemente enormi; bastava aver intessuto pazientemente una rete internazionale di solidarietà, di amicizia e di scambi; era sufficiente confidare nella capacità dei partecipanti libertari di autogestire la loro presenza e le loro attività durante le giornate; insomma, bastava voler creare uno spazio di libertà e di convivialità affinché l’anarchismo di allora potesse esprimersi, dibattere, mettere a confronto delle idee e, così facendo, continuare a essere in movimento
Tutto ciò non era sufficiente ma tutto ciò era necessario, e metterlo insieme rappresentava una sfida enorme. Mi sembra che la riconoscenza nei confronti di chi ha raccolto questa sfida non sarà mai abbastanza e mi dispiacerebbe molto non esprimerla qui e ora. Perciò, Grazie di cuore, compagni e compagne dell’ottantaquattro!
Ci sono eventi sui quali, per quanto siano stati molto importanti quando si sono tenuti, ci si limita a surfare, ci si scivola sopra come se non avessero profondità. Per altri, invece, la sola evocazione ci fa brillare gli occhi e suscita il desiderio di immergersi in quegli eventi. È il caso, ad esempio, del grande festival di musica di Woodstock nel 1969 che nei nostri immaginari rimane un momento privilegiato della controcultura, perché simboleggia un grido di rottura nel quale covava il fremito di una nuova epoca e nel quale si manifestava il desiderio di spezzare il giogo delle norme dominanti.
Fatte le debite proporzioni, nella sfera propriamente anarchica Venezia 84 rappresenta uno di quei grandi eventi impregnati di una strana magia, che rimangono impressi nel cuore di tutti e tutte coloro che li hanno vissuti. Evocano maree di immagini, il ricordo di momenti condivisi, la presenza di amici oggi scomparsi, una miriade di sogni che erano bruscamente diventati reali nello spazio di un incontro che rimane indimenticabile, perché, fra le altre cose, permise di assaporare il piacere di vivere qualche giorno da anarchici fra anarchici in un luogo mitico.
Le migliaia di giovani libertari che affluirono a quell’incontro gioivano senz’altro dell’atmosfera che vi trovarono, dell’ibridazione che si generava fra la riflessione, il confronto di idee, talvolta in forte contrapposizione, da una parte, e, dall’altra, la dimensione eminentemente festiva, impregnata di tutta la fraterna affettività anarchica. Gratificati per essere venuti in gran numero, non sembravano però oltremodo sorpresi dall’ampiezza numerica della partecipazione.
Al contrario, questa sorpresa colpiva enormemente noi tutti e tutte che, essendo un po’ più vecchi, percorrevamo da più tempo i sentieri dell’anarchismo. Stupefatti, ci sfregavamo gli occhi senza credere a quel che vedevamo, perché chiunque avesse sognato un incontro come quello di Venezia anche solo all’inizio degli anni Sessanta sarebbe stato immediatamente sospettato di delirare sotto l’effetto di sostanze allucinogene.
Infatti dopo essere stato schiacciato nel 1939 durante la rivoluzione spagnola, l’anarchismo conobbe una lunga e arida traversata del deserto che si protrasse per un trentennio abbondante.
Nella prima metà degli anni Sessanta ci furono senz’altro delle belle fiammate di anarchismo nelle grandi marce inglesi contro la bomba atomica. Marce che duravano più giorni, durante le quali il famoso Comitato dei Cento, con Bertrand Russel come figura di spicco, rivendicava l’azione diretta, e la rete anarchica delle «spie per la pace» era riuscita a piratare e divulgare i siti segreti dei rifugi antiatomici allestiti per proteggere il governo, ovviamente lasciando la popolazione alla mercé del disastro nucleare.
C’erano stati anche i provos di Amsterdam che, a partire dal 1965, diedero una scossa alla società olandese, seminando l’anarchismo anche grazie alle loro famose biciclette comunitarie dipinte di bianco.
Tuttavia all’epoca nella maggior parte dei paesi gli anarchici erano solo poche decine, forse qualche centinai, raggruppati in minuscoli collettivi. Tanto che quando nel 1966 a Parigi fu organizzato un incontro europeo di giovani anarchici ci rallegrammo molto per l’«enorme» successo che consisteva nell’aver riunito parecchie decine di partecipanti.
Che cos’era accaduto perché solamente pochi anni dopo questo panorama piuttosto desolante migliaia di anarchici affluissero a Venezia, proprio come, in circostanze certo molto speciali (la fine della dittatura di Franco) si erano recati alle giornate libertarie di Barcellona nel 1977? La risposta si trova in buona parte, anche se certo non esclusivamente, in quello straordinario evento che fu il Maggio ‘68.
Beninteso, questo folgorante e inatteso, completamente inatteso, incendio di una parte della società non manifestò i tratti di una rivoluzione nel senso classico del termine, ma fu un momento di enorme creatività rivoluzionaria che scavò un fossato fra un prima e un dopo, mettendo fine a un insieme di pratiche politiche improvvisamente divenute caduche e formulando concezioni che rinnovavano le forme di pensare, di lottare e di comportarsi.
Per inciso, quel che rimane abbastanza sorprendente è che questa potente esplosione dai forti toni anarchici avvenne praticamente senza anarchici, o quanto meno senza una presenza numerica significativa, a parte senz’altro durante i preludi del Maggio ‘68 all’università di Nanterre. E tale presenza era del tutto insignificante quando, in maniera spontanea, il venerdì 3 maggio nelle vicinanze della Sorbona venne accesa la fiaccola del Maggio ‘68. Eppure non c’è alcun dubbio: l’onda espansionistica cominciata nel ‘68 che si propagò nei decenni successivi diede un impulso decisivo sia al rinnovamento dell’anarchismo che alla sua espansione numerica.
Perché con tutta evidenza i semi che il Maggio ‘68 sparse ai quattro venti caddero anche nei giardini dell’anarchismo, tanto che Venezia 84 radunava un anarchismo che aveva già subito l’impatto del 1968, anche se alcuni settori continuavano a tenersene in disparte.
In questi semi, alcuni dei quali erano già presenti nell’anarchismo fin dagli inizi, si trovavano la critica dell’azione politica incentrata sul proletariato come soggetto rivoluzionario quasi esclusivo, o comunque principale; c’era lo spostamento delle lotte verso le oppressioni quotidiane, da cui derivava la moltiplicazione e la diversificazione dei fronti di lotta; si trovava la fortissima critica dell’avanguardismo a vantaggio dell’autonomia delle persone e dei collettivi che decidono da sé il proprio cammino; c’era la rinuncia delle prospettive escatologiche, sostituite dall’importanza accordata al presente, al qui e ora; e, soprattutto, si trovava il rifiuto radicale dei principi autoritari, dei rapporti gerarchici, e così via.
La diffusione di questi semi nella società rappresentò una sorta di sciamatura dell’anarchismo al di fuori del suo spazio identitario, tanto che, divulgati dall’ethos del Maggio ‘68, alcuni dei suoi principi si infiltrarono nei costumi politici dei nuovi movimenti sociali, senza per questo che tali movimenti si rivendicassero anarchici, nel modo più assoluto. Era l’inizio dell’anarchismo di fuori porta (extramuros), che fiorirà qualche anno dopo e su cui tornerò.
Venezia 84 esemplificò a meraviglia il fatto, noto da molto tempo, che non è possibile approcciarsi all’anarchismo come se fosse un’entità monolitica, compatta, un blocco omogeneo. L’anarchismo è un’entità multipla, un caleidoscopio, o una sorta di costume di Arlecchino. Infatti la sua rappresentazione più appropriata è senza dubbio quella di una galassia, cioè un insieme di elementi diversi che nonostante tutto formano un tutto identificabile come tale; ed è questa diversità costitutiva a far sì che sia spesso più esatto parlare di anarchismi al plurale invece che di anarchismo al singolare.
D’altronde sappiamo bene che gli anarchici si riconoscono per il loro modo di essere, per quel che fanno (ovvero anche per quel che rifiutano di fare, ad esempio il rifiuto del successo (refuser de parvenir) come ama sottolineare Marianne Enckell; si riconoscono per il loro modo di comportarsi almeno tanto quanto per ciò che dicono, e questo ovviamente rimanda all’indispensabile consonanza fra il dire e il fare, fra ciò che si pretende di fare e il modo di fare: rimanda cioè all’estrema importanza dell’etica.
In cosa, possiamo chiederci, l’anarchismo è cambiato? Non più fra gli anni Sessanta e il 1984, ma fra il 1984 e il 2024.
Di fatto non si è prodotta alcuna biforcazione di rilievo, nessuno brusco cambiamento, perché nell’anarchismo i cambiamenti non rinnegano il passato, eventualmente criticandolo, ma si basano sul passato per continuare a proseguire e a costruire nuove formulazioni.
Fra l’anarchismo dell’84 e quello di oggi, più che differenze improvvise e ben marcate si possono rilevare linee evolutive che comportano attenuazioni e anzi cancellazioni di alcune caratteristiche, mentre altre si trovano a essere accentuate e rinforzate: fra queste ultime se ne possono citare parecchie.
Ad esempio, anche se all’epoca di Venezia 84 era già presente il movimento anarco-punk, nato in Inghilterra qualche anno prima con il gruppo musicale Crass (1977), da allora non ha smesso di espandersi e oggi vi sono centinaia di gruppi musicali in tutto il mondo che si definiscono anarco-punk o che fanno della musica un’attività militante di diffusione dell’anarchismo e delle lotte concrete sviluppate dall’anarchismo stesso contro i molteplici aspetti del dominio. Gli anarco-punk e i gruppi analoghi, come il gruppo Black Bird di Hong Kong, hanno trovato il modo di portare la sensibilità e la protesta anarchica ad ampi settori della gioventù che non avrebbero potuto essere raggiunti in altro modo.
Altro esempio: anche se nell’84 l’anarchismo aveva effettivamente ripreso vigore grazie all’esplosione del Maggio ‘68 e anche se l’inizio di un anarchismo di fuori porta (extramuros) si manifestava già, fu necessario attendere la straordinaria manifestazione di Seattle nel 1999 contro il G8 per assistere a un autentico ritorno e a una forte espansione numerica dell’anarchismo, che proliferò geograficamente e penetrò in molti spazi sociali.
Sappiamo che i manifestanti di Seattle articolarono forme di lotta basate sull’azione diretta; stabilirono modalità organizzative integralmente orizzontali in cui le decisioni venivano prese con il metodo del consenso; misero all’ordine del giorno il rifiuto di sottomettersi agli ordini dei capi, così come il rifiuto viscerale delle gerarchie e il sospetto verso le pratiche di potere, eccetera. Tutto ciò evocava ampiamente i principi anarchici, e questo si ripeté durante gli anni successivi con le numerose azioni di massa contro i summit capitalisti, ma anche con le occupazioni delle piazza in molti paesi.
Quel che Seattle aveva posto all’ordine del giorno e che in seguito si verificò non aveva bisogno di dichiararsi anarchico per esserlo realmente nei fatti. L’anarchismo fuori porta diventava così una delle più importanti espressioni dell’anarchismo; ciò significava che dopo l’anarchismo senza aggettivi sostenuto da alcuni anarchici, si assisteva ora alla generalizzazione dell’anarchismo senza nome proprio, cioè una sorta di anarchismo in incognito, non perché volesse nascondere il proprio nome, assolutamente no, ma perché lo ignorava ed per questo ne era sprovvisto; ciò dava luogo non più a un anarchismo proclamato, ma a un anarchismo di fatto.
Terzo esempio, i Black Blocs. I Black Blocs, derivati dagli ambienti autonomi degli squat tedeschi degli anni Ottanta, si svilupparono dopo Venezia e si ampliarono, in particolare nelle manifestazioni anti-globalizzazione degli inizi degli anni Duemila, contribuendo a rendere mediaticamente più visibile la presenza di alcune forme di anarchismo negli scontri con le forze repressive.
Ultimo esempio, mentre l’anarchismo era praticamente inesistente nella sfera universitaria fino all’inizio del XXI secolo, negli ultimi vent’anni sono state prodotte decine di opere sull’anarchismo da parte di accademici anarchici e oggi la presenza dell’anarchismo nelle università è ben visibile con, ad esempio, l’Anarchist studies network in Inghilterra, o il North American Anarchist Studies Network negli Stati Uniti.
D’altra parte, essendo già molto ricco di colori, come è chiaramente testimoniato da Venezia 84, la tavolozza dell’anarchismo è stata ulteriormente arricchita da nuove sfumature come l’eco-anarchismo di azione diretta, l’anarco-femminismo radicale, l’anarchismo postcoloniale, l’anarchismo queer, il post-anarchismo eccetera eccetera.
Dopo Venezia 84 l’anarchismo non ha mai smesso di evolversi per affrontare le sfide dei poteri e per mettere in pratica l’insubordinazione volontaria e l’etica della rivolta permanente.
Concentrato sul presente, l’anarchismo contemporaneo (almeno, questa è la mia visione) privilegia la resistenza e proclama il primato delle pratiche.
La lotta in questo modo eccede l’angusto ambito dello scontro e si ricollega con l’antica preoccupazione anarchica di costruire in positivo alternative libertarie nella realtà esistente. Alternative fatte di spazi e di strutture che consentono, o che prefigurano, un’altra forma di vita, una forma di vita anarchica.
Come direbbe Uri Gordon, lo sviluppo di strutture non gerarchiche nelle quali il dominio viene incalzato costantemente costituisce per molti anarchici un fine in sé.
Oggi, senza per questo abbandonare la lotta nei più diversi ambiti, la belligeranza anarchica non si concentra più in maniera privilegiata sullo Stato o sulla struttura economica, ma si amplia a tutte le forme del dominio, ed è proprio la lotta contro ogni forma di dominio a caratterizzare l’anarchismo contemporaneo nella maniera più profonda.
Quarant’anni fa Venezia 84 contribuì potentemente a mantenere l’anarchismo in movimento ed è in questo che risiede a mio parere il suo meraviglioso e incancellabile merito.
Traduzione dal francese di Carlo Milani