Chiarire le cause della disuguaglianza tra uomo e donna nelle nostre società, ci si presenta come un compito difficile, se non impossibile, perché equivale a trovare le sorgenti del Nilo, come dice Rossella di Leo nell'articolo omonimo, ci si trova di fronte a successive biforcazioni che si perdono in territorio inesplorato.
Però, tale disuguaglianza è una realtà con cui ci scontriamo e, in quanto protagoniste coinvolte in essa, dobbiamo provare a cambi aria. Un cambiamento che, dal nostro punto di vista, deve comprendere la vita pratica e la realtà immaginaria, che non può rimanere separata dalla necessità di modificare tutto il sistema in cui viviamo, di porre fine alle relazioni di dominio dovunque si presentino.
Per tale motivo, riteniamo che tutte le riforme apparentemente egualitarie affacciatesi nell'ambito della legalità statale, portino in sé una contraddizione, e in genere abbiano avuto la funzione di integrare le donne nel lavoro salariato, nel sistema istituzionale vigente, portando inoltre come conseguenza un intervento statale ancora più precoce nell'educazione dei figli. Il che significa integrazione di questa esigenza di cambiamento, di questa lotta per la liberazione femminile, al valori di un sistema simbolico maschile e fondato sul potere dominio.
È urgente trovare, quindi, non solo forme di resistenza e di lotta, ma anche di creazione e solidarietà. Creare fin d'ora le istituzioni atte a prefigurare ciò che vogliamo, e all'interno di questo fine cercare di ampliare quegli spazi che possono permettervi, a loro volta, di ricostruire un sistema simbolico basato sulla differenza, ma non sulla disuguaglianza.
E come donne, ricostruire, trovare questo "immaginarlo scomparso", apportando tutta la ricchezza dello specificatamente femminile.
Per noi, questo ha significato la scelta di una vita comunitaria. Una opzione dove tutti i ruoli devono essere ripensati in pratica.
Cosi, abbiamo definito la comunità come una matrice sociale in cui sia possibile educare e rieducarci, al tempo stesso in cui siamo tale matrice. Uh modello e anche un percorso, giacché per tutto quanto detto prima, il cambiamento deve avvenire a livello di tutta la società e quindi sarebbe impossibile al livello particolare dì un gruppo.
Un compito impossibile? Forse. Eppure, anche se denza di errori e contraddizioni, continuando noi ad essere immersi e partecipi del sistema che vogliamo cambiare, l'esperienza della comunità ci sembra valida, perché appunto ci permette di coniugare in un unico verbo la teoria e la pratica.
E così, come donne, abbiamo la possibilità di assumere i ruoli di madri, di amanti, di produttrici di idee e valori, di persone che si dedicano all'autogestione, che partecipano alla vita politica interna ed esterna della comunità, partendo da una scelta sociale, e non dal sacrificio personale, o abbandonando anche di poco questa o quello di tali ruoli.
La nostra esperienza concreta si basa in parte sulla Comunidad del Sur, gruppo comunitario originatosi nel 1955 a Montevideo (Uruguay), e in parte sul gruppo Comunidad, a partire dal 1977 a Stoccolma, in Svezia.
Comunidad ha 4 principi fondamentali:
- siamo libertari a livello politico (decisionalità, ecc.);
- siamo comunisti a livello economico, secondo il principio "da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni";
- siamo comunitari per quanto attiene al modello eco-urbanistico
della nostra vita sociale e dei suoi aspetti educativi;
- siamo rivoluzionari, perché una comunità non basta, è necessaria la trasformazione di tutta la società.
Sul piano organizzativo, applichiamo la rotazione di tutti gli incarichi, sia nel campo dei servizi che della produzione, abbiamo l'economia in comune e cerchiamo di praticare l'autogestione in tutti gli aspetti della vita.
I bambini, come diceva giustamente Bakunin, "non sono proprietà di nessuno, né del genitori, né della società, appartengono solo alla loro futura libertà", ed è in questo senso che li consideriamo responsabilità comune.