Alla fine di settembre del 1984 il nostro centro studi, insieme al CIRA di Lausanne (allora a Ginevra) e all’Anarchos Institute di Montreal, organizzava un Incontro internazionale anarchico che è stato l’evento più ambizioso dei nostri anni di attività. A quell’incontro – che aveva un programma fittissimo di iniziative che includevano un convegno di studi intitolato Tendenze autoritarie e tensioni libertarie nelle società contemporanee, mostre fotografiche dedicate a temi come Storia e geografia dell’anarchismo e Arte e Anarchia, dibattiti, spettacoli musicali, performance teatrali, installazioni artistiche, proiezioni di documentari e tanto altro ancora – parteciparono oltre tremila persone provenienti da trenta Paesi. Trentacinque anni dopo lo vogliamo ricordare (forse con una punta di autocompiacimento), ma anche raccontare, per rendere partecipe chi non c’era del flusso di emozioni e riflessioni che ha reso quell’evento un momento importante della nostra storia.
Venezia ’84: io c’ero…
È questo che dice ancor oggi chi ha vissuto quell’esperienza, che per tanti – non per tutti, ovvio, e quando mai... – è stata travolgente. Travolgente per l’impatto quantitativo delle persone presenti e per la tumultuosa interazione scaturita tra le generazioni coinvolte – dall’ex miliziano della rivoluzione spagnola al punk più improbabile – e tra le molteplici tradizioni culturali convocate, che si sono fuse in un melting pot che metteva insieme esuli latinoamericani, Autonomen tedeschi, artisti di strada americani, yugoslavi in libera uscita (e ancora lontani dalle suddivisioni etniche del decennio successivo), giovani attivisti di Hong Kong e vecchi combattenti coreani, anarco-sindacalisti polacchi, e ancora anarco-comunisti, anarco-individualisti, anarcoqualchecosa... insomma le tante esperienze e sensibilità libertarie che si sono sfiorate, mischiate o semplicemente guardate con curiosità, condividendo tutte l’evidente voglia di stare assieme e confrontarsi (e se necessario anche scontrarsi)... Travolgente per noi lo è stata anche a un livello quasi fisico: travolti dal complesso lavoro di organizzazione di un evento che ha richiesto mesi di preparazione, un numero iperbolico di riunioni, pile di corrispondenza multilingue... e poi, in quella settimana di delirio, travolti dalle iniziative in cantiere e dalle iniziative spontanee che esigevano spazi, tempi e attenzioni che sulla carta erano esauriti da tempo e che invece in qualche modo venivano tutti reperiti. Per non parlare dell’allestimento delle strutture nei tre luoghi deputati a ospitare l’incontro – l’Aula Magna dello IUAV per il convegno, un imponente tendone da circo attrezzato per mostre, video e dibattiti in Campo San Polo e i tanti stand predisposti per la convivialità e gli spettacoli in Campo Santa Margherita – il tutto faticosamente trasportato su e giù per i ponti di Venezia e traghettato lungo i canali… Insomma una fatica immane, condivisa da oltre cento persone, che lungi dallo smorzare la palpabile eccitazione ha piuttosto esaltato una complicità fraterna che è rimasta intatta nella memoria di molti. In questo sito tentiamo di rappresentare, attraverso le immagini raccolte in quei giorni, quel caleidoscopio libertario che cambiava freneticamente sotto i nostri occhi, più che disposti a farsi stupire da quell’orgia di “diversità affine”. In maniera più ampia, avevamo già celebrato, l’anno dopo, l’incontro internazionale del 1984 affidandone la testimonianza a un libro fotografico, Ciao anarchici [Antistato, Milano; ACL, Lione; Noir, Ginevra; Black Rose Books, Montreal; Nordan, Stoccolma, 1985]. Ed è proprio da quel reportage che riprendiamo il brano che segue, in grado di chiarire i nostri intendimenti di allora:
Da qualunque parte e con qualunque mezzo s’arrivasse a Venezia, non si poteva mancare Campo Santa Margherita, sfacciatamente occupato dall’incontro internazionale anarchico. Ci siamo, ci siete venuti a migliaia: eccoci sulle pagine di quest’album, affinché quelle immagini si facciano memoria fotografica oltre che del cuore per i compagni assenti e per quelli di domani... Ciao, anarchici! Ecco cento pagine di vita e di movimento, di volti e di parole, per riflettere su quel che è successo a Venezia alla fine di settembre del 1984. Volevamo lasciare anche noi un segno sull’anno orwelliano, sull’anno 1984. Era l’occasione per raccogliere la sfida di quell’anno simbolo. […] Era l’anno magico per fare... per fare che cosa? Cinque anni prima, al termine d’un altro convegno veneziano, l’idea era germinata – come molte altre avventure – attorno ai tavoli di un’osteria: nel 1984 occupiamo Venezia e proclamiamo l’anarchia! Nel settembre 1984, abbiamo dichiarato l’anarchia nelle calli e nei campi veneziani, in tutte le forme e con tutti i colori di cui disponevamo. Abbiamo dichiarato che siamo anarchici e orgogliosi di esserlo. Orgogliosi d’essere anarchici, orgogliosi della nostra storia; ma soprattutto curiosi del mondo, coscienti delle difficoltà che ci stanno di fronte, aperti al dubbio e agli interrogativi. Orgogliosi d’essere anarchici vuol dire che siamo abbastanza forti e abbastanza convinti da reggere le revisioni, abbastanza umili da essere disponibili alle domande che ci pone la nostra condizione di uomini e donne nelle società attuali. […] Questo libro stesso testimonia d’un lavoro collettivo. Esce in collaborazione tra cinque editori, in cinque lingue. Album di famiglia, reportage etnografico, documento storico, esso mostra a volto scoperto i popoli dell’anarchia.
Che resta oggi di quell’avventura, di quegli intendimenti? Noi, ovviamente, possiamo solo dire “la nostra” a proposito di un evento che in realtà non è stato solo nostro. Per noi “Venezia ’84” è stato uno spartiacque, anche se ce ne siamo accorti dopo, quantomeno in tutte le sue implicazioni. Questa cesura tra un prima e un dopo si è in effetti giocata a livello d’immaginario: se è certamente vero che anche “prima” il nostro agire e il nostro sguardo sul mondo stavano cambiando di prospettiva, è solo “dopo” che lo slittamento è diventato evidente. L’incontro internazionale anarchico è stato quindi un catalizzatore di mutamenti in atto, peraltro già identificabili nelle premesse con cui era stato pensato e gestito l’evento. E infatti, il convocare le tante facce dell’anarchismo a un incontro che tutto era tranne che un Congresso, che tutto cercava tranne che una “linea”, era di per sé una modalità che segnava il distacco dalla visione precedente che avevamo dell’attività militante. Proprio quella “caotica” – e talvolta contraddittoria – diversità dell’anarchismo (e del libertarismo) che è andata in scena a Venezia ha fornito al nostro sguardo l’acume necessario ad andare oltre l’orizzonte dell’anarchismo “politico” che aveva sinora marcato in modo prioritario la nostra esperienza militante. Quell’anarchismo “politico”, figlio della specifica tradizione del movimento italiano e di quelle vicende, anch’esse tutte italiane, legate alle vicende della “strage di Stato” e di un Sessantotto partito libertario e finito gruppettaro (e vetero-marxista), cedeva apertamente il passo a modalità e sensibilità diverse dell’agire sociale: dal “partito dei militanti” si passava alla “comunità militante”. Il discorso, è ovvio, dovrebbe essere ben più articolato, ma qui, ci stiamo occupando di un evento collettivo e a questo intendiamo tornare. Per parlare ancora di quella grande festa anarchica che è stata “Venezia ’84” e per raccontare, finalmente, tutti i retroscena (compresi quelli piccanti) che la storiografia ufficiale non racconterà mai.
Molti furono gli accadimenti che occorsero in quei giorni turbinosi… e non tutti strettamente politici. L’incontro, come si è detto, fu esaltante ma non necessariamente confinato sul versante spirituale. Benché presi dal lavoro organizzativo, era difficile non accorgersi di questa gioiosa sensualità che pervadeva la multietnica folla anarchica (anzi a dire il vero il “servizio d’ordine” – per usare un termine ormai desueto, ma allora in voga – fu chiamato a salvare d’urgenza una coppia che nel corso di un amplesso open-air finì rovinosamente in canale durante un avvitamento mal congegnato). Ma la portata erotica di quelle serate di settembre la cogliemmo pienamente solo quando nove mesi dopo cominciammo a ricevere da ogni parte del mondo simpatici cartoncini che annunciavano l’arrivo di un numero cospicuo di infanti: insomma un vero e proprio baby-boom anarchico fece seguito all’evento. Ovviamente non tutti erano impegnati in modalità conoscitive così puntuali. Un certo numero di giovanotti di origine mitteleuropea in overdose di adrenalina preferirono attività più trasgressive, come alzare la bandiera pirata sul movimento ai caduti o concedersi un giro in laguna all’alba a bordo del battello postale ormeggiato davanti alle Poste centrali di Venezia. Ma l’inconsueto era norma in quei giorni, in particolare nelle vivacissime notti che seguivano l’impegno intellettuale, quando i giovani tedeschi ballavano il pogo, i compassati scandinavi scivolavano sotto le panche ebbri di vino, gli spagnoli non la smettevano di litigare tra membri della CNT e membri della CGT, e gli italiani cantavano a squarciagola l’intero repertorio canoro... il tutto sotto gli occhi strabuzzati di indigeni e turisti e sotto l’obbiettivo incuriosito e un po’ invadente di giornalisti e televisioni (non la RAI, naturalmente, che l’anarchismo lo cita rigorosamente solo in contesti più congeniali alle sue finalità, ma reti come la BBC inglese, la NBC americana, una rete danese e chi si ricorda cos’altro ancora). I rapporti con la popolazione locale furono a dir poco intensi, oscillanti tra i due poli del binomio amore-odio. Chi abitava e dormiva in Campo Santa Margherita, se non aveva una specifica propensione per il punk, tendeva al polo dell’odio, ma tanti sono stati i veneziani che hanno frequentato sera dopo sera la festa anarchica. Tra questi ricordiamo una vecchina che, dopo essersi fatta al banco “un’ombra” di vino rosso, offerta a prezzi davvero popolari, tornò ogni sera con una brocca per farsela riempire. E l’aveva ben azzeccata, la vecchina, perché quel vino che bevevamo a garganella altro non era “Bricco dell’uccellone” (chi non sa s’informi) generosamente fornito da Luigi Veronelli per celebrare degnamente l’evento… Quanto alle istituzioni, il rapporto fu più o meno quello auspicabile: inesistente (se non per alcuni contatti minori e privi di conseguenze). Supponiamo che la concentrazione di anarchici abbia posto le istituzioni davanti al dilemma se scatenare una guerra epica o aspettare che l’orda si diluisse da sé. Deve aver prevalso la seconda ipotesi, con buona pace di tutti. Forse il momento di maggior attrito ci fu quando i vigili vennero a misurare l’ingombro di tutte le strutture predisposte per quantificare la tassa comunale per occupazione di suolo pubblico. Lo screzio però non riguardava la liceità o la consistenza del balzello quanto la percezione estetica dell’arte. Va detto che nella piazza era stata collocata, a opera di alcuni artisti di Boston, un’installazione interattiva che consisteva in numerose scatole di cartone verniciate di bianco sulle quali chiunque poteva scrivere quanto riteneva opportuno. Gli sprovveduti vigili, forse anche a causa dell’ora tarda, nell’espletamento delle loro funzioni non colsero la portata artistica del manufatto e lamentarono con gli organizzatori il fatto che “si lasciasse in giro tutta quella spazzatura”. Alla nostra indignata protesta (“Ohibò, ma quella è arte, non monnezza”), i pubblici funzionari ebbero un lieve sbandamento, ma poi lo spirito di corpo riprese il sopravvento e la soluzione fu trovata: “E allora misuriamo anche quella, e pagate”. Furono dunque giorni e notti di furore, ma di una qualità gioiosa che non rimanda tanto alla tradizione “dei martiri e degli eroi” quanto a quella, a noi più congeniale, del “vivere l’anarchia”.