Anti-war artwork by Ib Benoh. End of a World 2003 -2004. Acrylic on canvas.
“Non siamo sull’orlo del baratro, ci siamo già dentro”. Intervista con l’anarchico israeliano Uri Gordon sulla guerra a Gaza, l’anarchismo e altro ancora.
Dopo il terribile attacco di Hamas del 7 ottobre e il conseguente conflitto intrapreso da Israele nella Striscia di Gaza, abbiamo voluto conoscere il parere di qualcuno che condannasse tanto la follia terroristica di Hamas quanto la risposta israeliana. Ad oggi, la guerra di Israele contro Gaza ha provocato decine di migliaia di morti e lo sfollamento di ulteriori due milioni di persone, molte delle quali a rischio carestia. Uri Gordon, autore del volume Anarchy Alive! e attivo tra le fila di Israelis Against Apartheid, è membro del board internazionale di «Freedom», la più antica rivista anarchica ancora in attività. Cofondatore dell’Anarchist Studies Network, i suoi scritti sulle politiche e le teorie anarchiche sono stati tradotti in tredici lingue. L’intervista che segue è stata condotta telefonicamente a metà febbraio 2024 dal redattore di «Lenticular» R. Cleffi.
Anarchismo: una definizione operativa. Differenze con “libertarismo”, “anarco-capitalismo” eccetera.
Lenticular (L): In cosa consiste per te l’anarchismo?
Uri Gordon (UG): L’anarchismo è il perseguimento dell’anarchia, cioè dell’assenza di governo. E ancora, l’anarchismo è il rifiuto di qualunque forma sociale di dominio e l’avversione verso il groviglio di poteri interconnessi che strutturano la società gerarchica. In sostanza, per me l’anarchismo non è troppo diverso dai classici ideali di liberazione dell’uomo dalla schiavitù, dalla servitù della gleba e dall’asservimento dell’era industriale, se non per una maggiore consapevolezza del fatto che per liberarci dobbiamo partire da noi. Non possiamo affidarci a nessun tipo di intermediario o rappresentante che lo faccia al posto nostro. Il processo di liberazione deve partire dal basso, non dall’alto, e gli anarchici coscientemente aderiscono a questa idea. L’anarchismo mira a una società di uguali, alla decentralizzazione del potere in chiave antiautoritaria, “dal basso e a sinistra”.
L: So che è la solita questione che viene sempre tirata in ballo, ma che ne pensi di chi sostiene che la natura umana è incompatibile con l’ideale anarchico?
UG: Credo che questo tipo di considerazioni sulla natura umana provengano da persone che traggono un qualche vantaggio dal sistema così com’è. Non penso che discutere con i liberali o con i paladini dell’attuale ordine costituito sia il modo migliore di impiegare il mio tempo. Non sono io a dover difendere l’anarchismo, c’è chi sa farlo meglio di me. Se qualcuno vuole passare il suo tempo a spiegare l’anarchismo a persone che pensano che gli esseri umani non possano fare a meno dell’autorità, è libero di farlo. A mio avviso, come movimento dovremmo concentrarci piuttosto sull’azione diretta e sulla solidarietà verso le fasce più vulnerabili della società, oltre che sull’essere in prima linea nei movimenti sociali e di resistenza di massa più rilevanti.
Non penso che il movimento anarchico sia oggi di per sé un movimento rivoluzionario di massa, né che possa diventarlo nel breve termine. Forse in futuro l’anarchismo tornerà a essere predominante nei movimenti di protesta delle masse oppresse. Penso ai rifugiati, ai contadini e a chiunque viva al margine. Chissà, magari un giorno...
L: In cosa il tuo anarchismo è diverso da quello di altri che oggi si definiscono “anarchici”, mi riferisco ad esempio gli “ancap”, cioè gli anarco-capitalisti, i cosiddetti libertariani, o altri?
UG: Personalmente non li chiamo “anarco-capitalisti”, ma impostori proprietaristi. Voglio dire, dove sarebbe il loro anarchismo dal momento che si tratta spesso degli individui più misogini, anti-queer e inumani in circolazione? Essere anarchici non vuol dire solo essere contro lo Stato, ma volere una società senza classi, l’equilibrio tra le nostre comunità e un ecosistema sempre più a rischio, l’abolizione delle categorie razziali e di genere. È tutte queste cose insieme. Gli ancap, come li chiamano alcuni, si concentrano solo sull’antistatalismo, ma questa è una visione piuttosto riduttiva dell’anarchismo. A quanto ne so, arrivano a negare l’esistenza delle classi sociali, non capiscono affatto come funziona la società. Il loro modo di vedere il mondo è per lo più articolato nei termini etici e atomistici dei contratti e così via, un po’ alla Adam Smith. Esattamente ciò che Marx o Proudhon avrebbero criticato dell’economia borghese.
L: Cercando in rete informazioni sull’anarchismo, non è facile farsi un’idea su come stanno le cose, dato che questo tipo di contenuti vengono propinati dagli algoritmi attraverso pubblicità a pagamento e simili.
UG: Non so se sia ancora solo un fenomeno limitato al mondo virtuale, quel che è certo è che sembra avere presa sul pensiero della gente. Ci penso spesso, e credo che molti di quei ragazzi che sono attratti da queste stronzate ancap, e forse persino dai risvolti peggiori della cultura incel, sarebbero spesso dalla nostra parte se fossero stati orientati nella giusta direzione. Questo è vero soprattutto per gli Stati Uniti, ma non credo che la colpa sia del movimento statunitense. Penso piuttosto che sia perché la destra estrema, quella economica ma ora anche quella nazionalista, è meglio organizzata e finanziata, quindi ben più attrezzata a influenzare il mondo anglofono di internet e dei media alternativi. Gli anarchici hanno inventato canali alternativi e partecipativi su internet, ma sono stati gli estremisti di destra a prenderne il controllo e a trasformarli in un business. Quindi adesso non abbiamo più Indymedia, ma Infowar.
A cavallo tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del nuovo millennio, l’impulso trasformativo in senso anarchico ed egualitario aveva saputo imporsi nell’immaginario collettivo, scatenando però l’immediata reazione dell’estrema destra. Quello che è successo in rete, con l’appropriazione da parte dei cialtroni ancap di ciò che avrebbe potuto essere uno strumento del movimento libertario, è solo un esempio delle tante contromosse avanzate dalla destra in opposizione ai movimenti di inizio millennio, come il movimento alterglobalista e altri. Tutta questa storia ha radici profonde... chi vi si imbatte per la prima volta potrebbe pensare che le cose siano sempre andate così. La realtà è che dietro c’è stato un piano ben orchestrato, dove loro sono stati più attivi in questi ambiti.
L: Penso però che il problema sia anche un po’ della sinistra statunitense, che generalmente lascia che sia la destra (e alcuni anarchici) a utilizzare termini come “libertà”. Sono concetti accattivanti, chi non desidera la libertà? Tuttavia, negli Stati Uniti questi termini assumono spesso connotazioni ambigue.
UG: Questo accade perché sono termini radicati e declinati in una narrazione colonialista di conquista delle frontiere di cui conservano tutte le contraddizioni, dunque sì, vengono associati alla destra.
Il punto di vista anarchico sul conflitto israelopalestinese
L: Che ruolo ha l’anarchismo nella tua visione del conflitto israelo-palestinese?
UG: Credo che mi porti a guardare a quella parte del mondo come al luogo in cui, se vogliamo, è stata inventata la guerra. Si tratta del lembo di terra dove probabilmente hanno visto la luce le prime società sedentarie e gerarchiche, e dove è stata costruita la prima città, Gerico. Parliamo di fatto della culla della civiltà gerarchica, e sarebbe significativo se la catastrofe di proporzioni storiche che porterà al suo inevitabile collasso avvenisse proprio lì. Dico questo perché sono convinto che ci siano buone probabilità che si scateni un conflitto nucleare mentre sono ancora in vita. Se sopravviverò o meno, così come se mi colpirà direttamente o no, è un’altra questione. Quel che so è che il collasso della società globale è già iniziato. Non siamo sull’orlo del baratro, ci siamo già dentro.
Non vivo in Palestina/Israele da oltre dieci anni, ma continuo a occuparmi di alcuni lavori di documentazione. Per me, quel che sta accadendo è parte di un quadro molto più ampio riguardo la direzione in cui sta andando il mondo. La civiltà gerarchica sta collassando con un conseguente intensificarsi dei conflitti armati, che si traducono sempre più in guerre di logoramento a bassa intensità. Si tratta di conflitti tenuti strategicamente sotto controllo, e temo che Gaza ne diverrà un altro esempio. Come se non bastasse, siamo di fronte a un enorme cambiamento generazionale. La generazione dei miei genitori è stata l’ultima a poter sperare in una vita migliore, in un livello di benessere e sicurezza economica, o addirittura prosperità, superiore a quello della generazione precedente. E questo aspetto non migliorerà.
Quel che accadrà, invece, è che élite estremamente ricche, grazie a forme sempre più sofisticate di controllo sociale, cercheranno di cavalcare questo collasso e mantenere saldo il loro potere con qualunque mezzo, sia con la forza che con la manipolazione culturale. E così finirà il mondo. Gli anarchici saranno ancora lì a sostenere l’idea di resistenza e l’importanza della lotta, ma non credo che vinceremo mai. Non penso che assisteremo a una rivoluzione, né che finché sarò in vita si arriverà a una soluzione senza stati in Israele e Palestina. No, temo proprio che stiamo perdendo. Non guardo al futuro con ottimismo, mi spiace dirlo. Tuttavia, credo che questo spirito di lotta dal basso, senza leader e autorganizzato, sopravvivrà finché ci sarà qualcuno che proverà a resistere.
L: Passando a quello che sta succedendo oggi, con la guerra, il 7 ottobre e la reazione sproporzionata di Israele, cosa pensi di tutto questo?
UG: La situazione è ancora di estrema emergenza. Ci sono centinaia di migliaia di persone a Rafah in grave pericolo di morte per fame o malattia, se non per mano di una vera e propria invasione militare. E in quel caso si tratterà davvero di genocidio, indipendentemente dai legalismi. La pulizia etnica è già avvenuta, così come i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità, e con questo mi riferisco anche all’attacco di Hamas.
Penso che non abbiamo ancora compreso appieno l’enormità di ciò che sta accadendo, così come la maggior parte delle persone non riesce a comprendere appieno l’impatto che il collasso economico ed ecologico, la crisi dei rifugiati e il cambiamento climatico incontrollato sta avendo sulle nostre società.
L: Per cosa dovrebbero battersi le persone a livello pratico?
UG: In questo momento c’è bisogno di un cessate il fuoco immediato e di uno scambio immediato di prigionieri. Da anarchico, cosa vuoi che dica? Solo gli Stati Uniti al momento possono far sì che questo accada. Vedo segnali incoraggianti: qualcuno ha detto che “gli Stati Uniti non sono uno skateboard ma una portaerei”, sebbene ci vuole tempo per fargli cambiare rotta, una volta fatto mantengono la linea. Posso solo sperare che le cose cambino davvero. Purtroppo, la situazione è aggravata dalla presenza di individui spregevoli nell’attuale governo di coalizione di Netanyahu, un mix delle le idee più estremiste con il peggior materiale umano. Uno degli aspetti più inquietanti della questione sono proprio queste figure pericolose nel governo israeliano. Non che abbia ovviamente nulla di particolarmente positivo da dire sugli ex generali, ma penso semplicemente che sarebbero più obbedienti alle superpotenze se queste decidessero di agire. L’arroganza di Netanyahu e dell’estrema destra, invece, è al limite del grottesco.
Netanyahu, la destra israeliana, la guerra
L: Negli Stati Uniti si sente spesso dire che il problema non è tanto la guerra in sé, ma chi la gestisce, come se una guerra condotta in modo più efficiente e meno platealmente brutale fosse più accettabile.
UG: Quelli che la gestiscono sono gli stessi che l’hanno resa possibile. Netanyahu e il suo governo sono responsabili di aver lasciato solamente due battaglioni dell’esercito al confine con Gaza, che nel fine settimana equivale a circa quattrocento soldati. Nel frattempo, trentadue battaglioni sono stati trasferiti in Cisgiordania per fare da scudo alle scorribande e agli attacchi dei coloni di estrema destra. Per non parlare ovviamente del regime di apartheid.
L: Hai affermato in altre occasioni che secondo te Netanyahu sta cercando di prolungare la guerra in attesa della vittoria di Trump. Lo pensi ancora?
UG: Netanyahu vuole trascinare la guerra il più a lungo possibile, non solo fino all’eventuale elezione di Trump, ma per rimanere al potere così da evitare una commissione d’inchiesta nazionale e sfuggire alle sentenze dei suoi processi per corruzione. Parliamo di un primo ministro sotto processo per corruzione che non ha dato le dimissioni. In questo modo, svanisce la pretesa di Israele di essere una democrazia e uno Stato di diritto. Siamo a metà strada tra l’Ungheria e la Turchia, seppur con un barlume di resistenza centrista.
Penso però che Netanyahu sia un illuso se crede che Trump gli farà dei favori. È possibile che Trump venga rieletto, ma penso che ora la mossa più intelligente che Biden possa fare politicamente, anche verso il suo elettorato, sia assumere una posizione molto più dura verso Israele, perché ha davvero superato il limite. Per quanto riguarda Trump, è tutta una questione di lealtà personale, una volta che non vedrà più Netanyahu come il suo umile servitore non credo che lo aiuterà. Poi chissà, se Netanyahu dovesse resistere fino ad allora e Trump venisse eletto, magari assisteremo a un sodalizio apocalittico con l’estrema destra americana e gli Stati Uniti serenamente lanciati in un genocidio. Sarebbe la peggiore delle ipotesi. Ci troviamo in una situazione in cui, ad eccezione dell’Unione Europea, le parti in causa sono potenze nucleari autoritarie. È piuttosto difficile fare previsioni.
L: Oltre a rimanere al potere, qual è il vero scopo di Netanyahu con questa guerra?
UG: Non c’è un vero scopo. Netanyahu non è uno che fa piani a lungo termine. La sua strategia è rimanere al potere, guadagnare tempo e seminare nel frattempo odio, sospetto e divisione circondandosi di politici incompetenti e aggressivi, come abbiamo visto in altri partiti di destra guidati da leader narcisisti.
L: Cosa pensi dei fascisti dichiarati nella coalizione di Netanyahu, come i kahanisti Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir, che parlano di colonizzare Gaza? Netanyahu condivide davvero queste idee? Li asseconda o li sta semplicemente usando?
UG: Li sta lasciando liberi di portare avanti i loro piani estremisti. Non so se Smotrich finirà davanti alla corte dell’Aia per questo, ma alla fine credo che non potrà più andare da nessuna parte. Netanyahu li lascia fare perché sono loro a mantenerlo al potere. Ha una maggioranza di 64 seggi su 120 anche senza i generali, quindi di cosa dovrebbe preoccuparsi? Nel frattempo, stanno prosciugando le casse pubbliche dirottando enormi quantità di fondi verso gli insediamenti e il settore ultraortodosso.
Questo processo, in particolare nel sistema educativo, sta rendendo la popolazione sempre meno occidentalizzata e meno incline allo studio delle materie scientifiche, e sempre più propensa a votare per i partiti di destra e religiosi. Credo che i partiti ultraortodossi pensino davvero che la cosa più importante al mondo sia studiare la Torah. Parliamo di strutture gerarchiche che sfruttano la loro stessa popolazione, governandola con rigide norme religiose. Non vogliono che i bambini studino inglese e matematica, a chi può servire? per loro basta studiare la Torah.
Ci sono migliaia di israeliani che hanno dovuto lasciare le loro case intorno alla Striscia di Gaza e nel nord del paese. Netanyahu non può continuare la guerra all’infinito perché l’economia è al collasso, e sa che perderà le prossime elezioni. Ma il 2026, anno delle prossime elezioni israeliane, è un orizzonte temporale troppo lontano per lui. Non pensa così a lungo termine. Tutto ciò che gli interessa è salvarsi il culo. Non so se crede di essere stato scelto dalla storia per guidare il popolo ebraico, una stronzata simile, o se sia solo una pedina manipolata dal suo gruppo e dai suoi alleati di coalizione. Non ne ho idea.
Quel che so è che sta perdendo il controllo e ha finito per irritare persino gli Stati Uniti. Spero davvero che qualcosa cambi presto, siamo di fronte a una catastrofe che dura da mesi.
L: Tolti gli oppositori di Netanyahu, questa guerra è molto popolare tra gli israeliani. Pensi che sia dovuto al trauma del 7 ottobre o è solo l’influenza dei media?
UG: Loro credono che sia per il trauma, ma è qualcosa che abbiamo già visto altre volte. Non è la prima volta che un’operazione militare mette a tacere le proteste sociali nel paese. I governi israeliani hanno sempre trovato utile mantenere questa situazione con Hamas a Gaza, un meccanismo che i media chiamano “equazione insostenibile” dove i continui scontri armati, che ovviamente causano molti più danni in termini di vite umane e infrastrutture agli abitanti di Gaza, hanno fatto da valvola di sfogo per le proteste sociali. Questo perché nell’opinione pubblica ebraico-israeliana è profondamente radicata la sensazione di essere sotto assedio, inculcata dal sistema educativo e da altri canali, che alimenta un forte senso di patriottismo, di coesione e la percezione di essere costantemente minacciati. Quando sono iniziate le guerre precedenti con Hamas, anche quando era chiaramente Israele ad averle provocate, la popolazione si è mobilitata immediatamente e i media hanno diffuso il messaggio che “il popolo è come un’unica famiglia”, un tipo di propaganda che ricorda quella diffusa in Europa occidentale durante la prima guerra mondiale. In Israele, questo meccanismo è puntuale come un orologio svizzero. E ora che questa guerra è stata scatenata da un evento atroce, gli israeliani pensano di poter sconfiggere Hamas una volta per tutte, ma la verità è che raramente hanno un’idea chiara di cosa stia accadendo a Gaza. I media israeliani sono completamente allineati a questa narrativa, non diffondono immagini o notizie dalla striscia, si concentrano solo sui funerali dei soldati.
Sconfiggere Hamas?
L: Negli Stati Uniti, molti esperti e generali in pensione paragonano spesso questa situazione alla seconda guerra mondiale, parlano di “denazificazione” di Gaza che dovrebbe poi essere ricostruita estromettendo Hamas, sbarazzandosi delle cattive ideologie e dei libri di testo fuorvianti e insegnando alle nuove generazioni ad apprezzare la pace e la prosperità.
UG: Lascia che ti dica una cosa: il kahanismo è una forma di nazismo ebraico. Non esiterei a definire l’area da cui proviene il ministro della pubblica sicurezza come suprematismo teologico ebraico-nazista. E anche Smotrich ha chiaramente posizioni analoghe. D’altra parte, anche Hamas è un gruppo di fascisti teocratici, misogini e gerarchici. A dirla tutta, non vedo molta differenza ideologica tra Hamas e alcuni membri di rilievo dell’attuale governo israeliano. Questa è la realtà di una guerra asimmetrica tra due gruppi di teocrati fascisti che da anni si alimentano l’un l’altro. Le persone negli Stati Uniti dovrebbero pensare innanzitutto a denazificare il loro stesso paese, liberatevi prima dei vostri visto che c’è chi si occupa di bandire Maus dalle biblioteche.
L: Cosa pensi invece dell’idea che Hamas possa essere sconfitto militarmente? Che il problema sia solo la cattiva ideologia?
UG: Se stermini l’intera la popolazione di Gaza eliminando ogni suo singolo abitante, allora avrai eliminato anche Hamas, no? Li avresti “sconfitti militarmente”. Ovviamente sono più che sarcastico. Quello che serve davvero è il cessate il fuoco e lo scambio di prigionieri. Personalmente, affiderei di nuovo l’intera regione all’ONU. Se vogliamo parlare di soluzioni diplomatiche, penso a una confederazione a due Stati, o persino una a tre Sati con la Giordania, qualunque cosa. Trasferiamo la sede dell’ONU a Gerusalemme, facciamola diventare la capitale del mondo, non so, ma al momento niente di tutto questo è in programma. Due Stati, un solo Stato, niente. A meno che le superpotenze non decidano di imporre una soluzione.
Gli anarchici in Israele e le prospettive di cooperazione binazionale
L: Esiste un movimento anarchico in Israele? Qual è il suo ruolo in questo contesto?
UG: In realtà è quasi inesistente, non possiamo davvero parlare di un vero e proprio movimento anarchico al momento. C’è una biblioteca cooperativa e una minuscola scena punk, ma davvero poco altro. Ci sono persone che condividono questi ideali e che lavorano in ambiti come i diritti umani o l’istruzione, e una sinistra più ampia, ma ancora piuttosto limitata, che potremmo definire “decoloniale”, ma non c’è un vero movimento anarchico organizzato in Israele. Suggerisco a tutti la lettura di un articolo pubblicato di recente su crimethinc.com di Jonathan Pollak, che scrive cose molto interessanti su questo argomento ed è un’ottima lettura per chi è interessato al punto di vista credibile di un anarchico ancora attivo sul campo, a differenza mia.
L: Pensi ci sia speranza per la solidarietà binazionale o per la lotta comune tra questi gruppi e quelli palestinesi?
UG: È l’unica via possibile, no? Non può esistere una sinistra composta solo da ebrei, deve necessariamente coinvolgere anche i palestinesi, anche se al momento l’idea di una collaborazione tra palestinesi ed ebrei è fortemente scoraggiata. Vengo da Haifa, che si vanta di essere un modello di convivenza, e lo dico con ironia. Poco tempo fa doveva esserci la presentazione di un libro, Apeirogon di Colum McCann, da parte di due padri in lutto molto noti, uno israeliano e uno palestinese. Il comune però non ha permesso che l’evento si tenesse al Centro Ebraico-Arabo, quindi è stato organizzato negli uffici di Mossawa, una ONG che promuove l’uguaglianza. All’inizio della guerra le manifestazioni sono state duramente represse, ma ora stanno riprendendo a patto che siano contro Netanyahu e non contro la guerra, anche se la violenza della polizia, che si è abbattuta persino contro le famiglie degli ostaggi, non si placherà. Quello anti-Netanyahu è tutto fuorché un movimento radicale, tantomeno decoloniale. Solo di recente, poco prima della guerra, ha iniziato a mettere in discussione l’occupazione, limitandosi a quella del ‘67, e a parlare timidamente di collaborazione ebraico-araba. Ora però è tornato al programma principale israeliano, cioè patriottico, suprematista, ma auto percepito come democratico.
Decifrare la risposta problematica della sinistra alla crisi
L: Il movimento di solidarietà con i palestinesi è molto ampio negli Stati Uniti, e anche se riguarda una minoranza, dal suo interno sono arrivate espressioni di antisemitismo e alcuni comunisti radicali hanno appoggiato Hamas. Come te lo spieghi?
UG: Penso che molte delle questioni controverse che a volte emergono dalle posizioni pro-Palestina, e che si discostano da ciò in cui crediamo, di solito derivano dal vedere le cose in bianco e nero, dall’atteggiamento per cui “il nemico del mio nemico è mio amico”, di cui anche molta della vecchia sinistra è responsabile. Dobbiamo tenere a mente che non tutti quelli che partecipano alle manifestazioni pro-Palestina necessariamente condividono gli altri nostri ideali su genere, capitalismo e simili. A volte anche chi ha posizioni reazionarie partecipa a questi eventi, non è un movimento che dovremmo associare automaticamente alla sinistra.