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Pinelli una storia Venezia 1984 Crocenera anarchica

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L’anarchico Ghezzi contro Stalin

 

L’anarchico Ghezzi contro Stalin

di Michail Platonov

fonte: «Libertaria», anno 8, numero 4, 2006

traduzione di Roberto Ambrosoli

 

Ci sono persone nella cui esistenza non sono presenti aspetti superficialmente splendidi o avventure da togliere il fiato, eppure ci colpiscono per la loro integrità, per la capacità di conservare la propria dignità anche in condizioni tremende. Di questo tipo è la vita di Francesco Ghezzi, operaio anarchico di Milano morto nel gulag staliniano nel 1942. Ecco la sua storia raccontata da un giovane anarchico russo.

Una delle ultime descrizioni di Francesco Ghezzi si trova nelle Memorie di un rivoluzionario di Victor Serge. Parlando della propria partenza dall'Unione Sovietica nel 1936, dopo una campagna intemazionale per la sua liberazione, Serge scrive: «Magro e altero, Francesco Ghezzi, operaio di una fabbrica di Mosca e unico ‘sindacalista’ ancora in libertà in Russia, è venuto a salutarci al treno». «Magro e altero», così appare in una foto segnaletica del 1937, allegata alla pratica aperta su di lui dalla GPU, la polizia politica staliniana. Profilo orgoglioso e fiero, lo sguardo intenso di un uomo indomito nonostante sia stato ripetutamente in prigione, anche nell'URSS. Nell'atmosfera segnata dal terrore staliniano, sia fuori sia dentro il carcere, è riuscito a mantenere una sua libertà interiore, sorprendente date le circostanze e l'atteggiamento pubblico predominante. Tale libertà si è espressa in azioni semplici ma oneste e coerenti, come pochi in quei giorni osavano compiere. Semplicemente, ha rifiutato di sottomettersi alle regole del regime.

Ghezzi è stato un militante attivo del movimento anarchico internazionale negli anni 1910-1930. Due campagne internazionali sono lanciate per il suo rilascio quando è in prigione prima in Germania e poi in URSS. Ma i dettagli dell'ultimo periodo della sua vita sono stati resi noti solo di recente, dopo la pubblicazione dei documenti relativi al suo processo negli anni 1937-1939. Gli ultimi biografi di questo anarchico sono stati gli investigatori staliniani.

I documenti dei processi politici nella Russia sovietica non sono una rappresentazione biografica ideale. Le confessioni erano estorte con la tortura, e gli arrestati confessavano i crimini più incredibili contro il regime. D’altronde, le persone prese nella morsa della polizia politica erano spesso ridotte in una condizione disumana. L'onestà di Ghezzi e la sua fedeltà ai propri principi non può quindi che lasciare impressionati.

 

Anarchico dal 1909

Ghezzi nasce a Milano il 4 ottobre 1893, in una famiglia operaia. Comncia a lavorare quando ha solo 7 anni. Dall'età di 15 aderisce al movimento rivoluzionario e a 16 diventa anarchico. Nel 1939, rispondendo alla domanda dell'inquirente circa le proprie opinioni politiche, dichiara di considerarsi «un anarchico convinto con idee pienamente formate a partire dal 1909», e infatti nel questionario ufficiale si è segnato come «non membro del partito».

L'inquirente registra con qualche dettaglio la storia della partecipazione di Ghezzi al movimento anarchico: «Abbiamo organizzato scioperi operai a Milano, con richieste economiche. Ma quando la polizia si è messa a sparare sui dimostranti, le richieste economiche sono diventate richieste politiche. Questi scioperi che abbiamo organizzato non sempre hanno avuto successo, a ogni sconfitta seguivano arresti di massa. Per sfuggire alla repressione nel 1914 sono emigrato a Parigi, in Francia, e nel 1915 sono ritornato a Milano, quando c'è stato il massiccio rientro in Italia dei rifugiati politici. L'organizzazione anarchica di Milano a quell'epoca aveva adottato una piattaforma antimilitarista e in tale direzione, insieme ad altri anarchici milanesi, ho lottato per un impegno di massa contro la guerra imperialista. Nel 1916, per sfuggire alla persecuzione poliziesca, sono nuovamente emigrato, questa volta in Svizzera, dove ho partecipato alla preparazione di un'insurrezione a Zurigo. Nel 1918 sono stato arrestato dalla polizia svizzera; per otto mesi sono stato indagato e alla fine sono stato accusato di aver partecipato alla preparazione dell'insurrezione, insieme alla frazione comunista del partito socialdemocratico. In seguito a una campagna pubblica sono stato rilasciato e il giorno dopo sono stato nuovamente arrestato ed espulso dalla Svizzera per essermi opposto a una dimostrazione patriottica. Nel 1919 ho lasciato la Svizzera e sono andato a Parigi, e nel 1920, in seguito a una amnistia generale, sono ritornato a Milano».

Nel 1920, a Milano, gli anarco-sindacalisti dell'USI, insieme alla fazione massimalista del partito socialista italiano, organizzano uno sciopero generale. Gli scioperanti intendono impedire ai crumiri di entrare nelle fabbriche. A tale scopo viene organizzata una milizia operaia, che al contempo compie azioni di sabotaggio sulle linee ferroviarie e all’interno delle fabbriche. Ghezzi ne è uno degli organizzatori.

Il 23 marzo 1921, l'attentato al teatro Diana di Milano, compiuto da alcuni anarchici, provoca molte vittime. Ovviamente tutti gli anarchici sono oggetto di una massiccia campagna repressiva. Ghezzi, accusato di aver partecipato all'azione, deve entrare in clandestinità e non può rimanere a Milano. Così l'USI, nel giugno 1921, lo manda a Mosca come delegato al Congresso dei sindacati rossi (Profintern), creato su iniziativa di Lenin per ottenere il sostegno dei militanti rivoluzionari di vari paesi, tra cui gli anarco-sindacalisti.

 

Prima visita a Mosca

Al congresso del Profintern Ghezzi fa quindi parte della componente anarco-sindacalista. Questa avanza varie richieste, come la conservazione dell'autonomia dei sindacati operai rispetto ai partiti politici, e l'idea di una libera federazione dei lavoratori in alternativa alla concezione della «dittatura del proletariato». Inoltre chiede che gli anarchici imprigionati in Russia siano rilasciati e sia loro consentito di agire apertamente.

Il tentativo di mantenere l'autonomia sindacale dai partiti politici non è appoggiato dal congresso. In effetti il Profintern è stato costituito dal Cremlino proprio allo scopo di egemonizzare il movimento operaio internazionale. Tuttavia, nel 1921-1922 molti sindacalisti rivoluzionari sono affascinati dalla «vittoriosa rivoluzione russa» e cadono sotto l'egida del partito bolscevico. Gran parte della sinistra è rimasta ipnotizzata dal bolscevismo e ha rifiutato di ammettere, o denunciare, pubblicamente (come Victor Serge) gli errori e i crimini del regime sovietico: repressione del dissenso operaio e contadino, divieto di ogni attività legale per anarchici e socialisti, repressione e censura.

La plateale protesta messa in atto al congresso del Profintern da Emma Goldman e Alexander Berkman, che si sono incatenati nella sala della riunione, oltre alle pressioni esercitate sulla dirigenza bolscevica dai sindacalisti rivoluzionari, contribuiscono a far rilasciare alcuni anarchici e anarco-sindacalisti russi incarcerati (che in prigione avevano organizzato uno sciopero della fame). Ad alcuni di essi è consentito lasciare il paese.

A questo punto i sindacalisti non bolscevichi si riuniscono a Berlino nel dicembre 1922, dando vita all'Associazione internazionale dei lavoratori, l'Internazionale anarco-sindacalista.

Dopo aver passato circa tre mesi a Mosca, Ghezzi si reca al congresso di Berlino, dove interviene a nome dell'Unione sindacale italiana (USI). Entra in Germania illegalmente e poco dopo il congresso viene arrestato dalla polizia tedesca. Le autorità tedesche intendono consegnarlo allo Stato italiano affinché sia processato per la sua partecipazione alle milizie operaie. Come testimonierà in seguito Olga Gaake, la sua seconda moglie, in Italia era già stato processato in contumacia e condannato a morte dal governo fascista. Mentre è detenuto in Germania parte una campagna per il suo rilascio organizzata dalla stampa di sinistra. L'avvocato di Ghezzi, Michael Frenckel, riesce a ottenere un documento che certifica che il suo assistito è un cittadino sovietico; così, dopo nove mesi di prigione, viene liberato: il ministero sovietico degli esteri ha emesso un passaporto a suo nome e Ghezzi può tornare a Mosca come cittadino sovietico.

 

Ritorno in URSS

In Unione Sovietica, Ghezzi per qualche anno (1923-1926) vive e lavora in una piccola comune agricola a Yalta (in Crimea, sul Mar Nero), insieme ad altri anarchici stranieri emigrati in Russia. Tra questi ci sono gli italiani Otello Gaggi (arrestato nel 1935), Tito Scarselli (morto prima del 1937), Oscar Scarselli, Nazareno Scarioli e l'anarchico francese Robert Ginof.

Ghezzi ristabilisce i contatti con gli anarchici stranieri, oltre che con la propria famiglia in Italia e con la sua prima moglie, Frieda Bolliger, in Svizzera. In seguito la polizia politica staliniana (la GPU) lo accuserà non solo di «corrispondenza antisovietica con elementi anarchici» ma anche di una visita privata alla comune della figlia di Lev Trockij, sebbene Ghezzi insista che si trattava di «una visita privata, non connessa al trotzkismo»:

 

Inquirente: Siamo stati informati che durante il vostro soggiorno nella comune avete tenuto corrispondenza antisovietica con anarchici stranieri. Lo confermate?

Ghezzi: Certo. Tornando in Russia non ho abbandonato le mie idee anarchiche. Dichiaro di essere stato e di essere tuttora anarchico. Mentre ero a Yalta ho scritto molte lettere ai miei compagni all'estero, condannando la politica del partito comunista a proposito della NEP [Nuova politica economica]. Ho scritto ai miei compagni anarchici all'estero che in Russia viene permesso il commercio privato e lo sfruttamento, e che gli anarchici sono perseguitati. In una di queste lettere ho scritto che i bolscevichi hanno messo in prigione l'anarchico Nikolaj Lazarevich e per questo ho inviato una protesta alla GPU.

 

Nel 1926 Ghezzi si trasferisce a Mosca e viene assunto come operaio nella fabbrica statale di «applicazioni sperimentali». Collabora con i gruppi anarchici di Mosca, che a all'epoca agiscono ormai in semiclandestinità (a partire dalla metà degli anni Venti i bolscevichi hanno debellato tutte le principali organizzazioni anarchiche della Russia e gli anarchici vengono ripetutamente arrestati). Nonostante tutto, Ghezzi cerca di mantenere i collegamenti tra gli anarchici russi e quelli all'estero. Tra i suoi corrispondenti ci sono Diego Abad de Santillán in Spagna, Errico Arrigoni e [Osvaldo] Meraviglia negli Stati Uniti, Luigi Fabbri in Uruguay, anarchici russi esiliati all'estero (Mark Mračnyj, Efim Yarchuk, Pëtr Aršinov). Ghezzi riesce a mandare all'estero un pamphlet scritto dal filosofo anarchico russo Alexei Borovoi sul «decimo anniversario dell'Ottobre». Il libro viene pubblicato all'estero e quindi fatto entrare clandestinamente in Russia (nel 1926 il partito di governo aveva vietato ogni attività alla casa editrice anarchica Golos Truda, fondata nel 1919 dagli anarco-sindacalisti).

L'unica possibilità legale di attività anarchica a Mosca è il Museo Kropotkin, a cui danno capo gli anarchici rimasti (tra cui Borovoi e Ghezzi). Nel 1928 suscita molto scalpore il conflitto tra gli anarchici «ideologici» e gli «anarco-mistici» guidati da Alexei Solonovič. Quest’ultimo, in accordo con la vedova di Kropotkin [Sof'ja Ananieva-Rabinovich], voleva «spoliticizzare» il Museo nell'intento di evitare la repressione bolscevica. Nella primavera del 1928 la componente anarchica deve lasciare il Museo e dà vita a un gruppo separato che continua l'attività libertaria.

Il nuovo gruppo entra in contatto con Pëtr Aršinov, che a quel tempo pubblica a Parigi la rivista “Delo Truda”. Aršinov invia a Mosca la sua famosa Piattaforma organizzativa, che è oggetto di discussione in seno al gruppo, insieme alla critica fatta da Malatesta. Ghezzi è tra i contrari. In seguito dirà agli inquirenti che «dissentiva dalle proposte di disciplina e da altre tesi contenute nella Piattaforma».

 

Benvenuto nel gulag

Nel maggio-giugno 1929 gli anarchici «ideologici» del Museo Kropotkin sono stati i primi a essere arrestati, seguiti (nel 1930) dagli «anarco-mistici». Ghezzi era in un gruppo di dodici anarchici arrestati e accusati di essere «anarchici non-disarmati che svolgevano attività contro-rivoluzionaria avversa alla politica del VKPB (Partito pan-comunista russo dei bolscevichi) e al potere sovietico». Il 31 maggio 1929 Ghezzi viene condannato a tre anni di campo di lavoro e mandato in «isolamento politico» a Suzdal', 250 chilometri a nord-est di Mosca, dove già ci sono centinaia di militanti anarchici e socialisti.

Gli anarchici all'estero e diversi personaggi pubblici organizzano una campagna per la liberazione di Ghezzi. Lo scrittore francese Romain Rolland – particolarmente attivo nel chiedere la liberazione dei socialisti e degli anarchici detenuti in Russia (Victor Serge è stato liberato e autorizzato a lasciare la Russia in gran parte per le sue pressioni) – manda insieme ad altri sedici firmatari una lettera allo scrittore sovietico, nonché amico di Stalin, Maksim Gor'kij perché interceda in favore della liberazione di Ghezzi. «Questo giovane italiano», scrive Rolland, «ha il rispetto di tutti coloro che lo conoscono; fin dalla gioventù ha lottato per la liberazione del proletariato e la realizzazione del comunismo... Non possono esistere dubbi sulla devozione alla causa proletaria di questo attivista senza macchia».

Ma Gor'kij non apprezza l’impegno di Rolland a liberare «il famoso anarchico e rivoluzionario Ghezzi». A lui, la politica repressiva del regime sovietico contro gli anarchici sembra giustificata, e ciò porta a un conflitto tra Gor'kij e Rolland, al punto che la loro corrispondenza (quasi) si interrompe. Alla fine Gor'kij sottopone il problema a Stalin e al capo della GPU, Genrich Jagoda, ma gli viene risposto che è «impossibile rilasciare Ghezzi».

In seguito a una campagna internazionale, Ghezzi è finalmente liberato, ma non gli è consentito lasciare l'Unione Sovietica. Dapprima, nel gennaio 1931, viene tolto dall'«isolamento politico» a Suzdal' e mandato in esilio nel Kazakistan, ma dopo un mese e mezzo viene affrancato da ogni sanzione e ottiene il permesso di risiedere in qualsiasi parte dell'URSS. Così torna a Mosca e riprende il suo lavoro nella stessa fabbrica dove lavorava prima dell'arresto.

 

L’ultimo sindacalista

Qual è stata la vita di Ghezzi nel periodo tra il suo rilascio e l'arresto successivo, sei anni più tardi? Nelle note redatte per gli inquirenti dal direttore e dai dirigenti politici e sindacali della fabbrica, dopo il successivo arresto di Ghezzi nel 1937, si legge: «Politicamente acculturato. Di convinzioni anarco-sindacaliste. Durante il periodo in cui ha lavorato presso di noi ha partecipato alle assemblee operaie, ma non ha mai voluto pronunciarsi su argomenti politici, il che, stante la sua formazione politica, può essere spiegato soltanto con il dissenso verso le attività del partito comunista e del governo sovietico».

Ghezzi però era una persona emotiva, e quindi non sempre stava zitto durante le assemblee operaie. Victor Serge, che negli anni Venti e nei primi anni Trenta è un attivista dell'opposizione trotzkista di sinistra, scrive nelle sue memorie: «Nelle due capitali, Mosca e Leningrado, i miei contatti nell'ambito della libertà di pensiero non superavano le due dozzine di persone, assai diverse per opinioni e mentalità. Magro, rigoroso, vestito come un vero proletario, il sindacalista italiano Francesco Ghezzi, dell'Unione sindacale italiana, era stato da poco liberato dalla prigione di Suzdal' e parlava appassionatamente della vittoria dell'industrializzazione. Il suo viso segnato era illuminato da due occhi febbrili. Ma il rientro in fabbrica lo ha depresso: ‘Ho visto proletari che dormivano accanto ai macchinari. Sai che durante i due anni in cui sono stato in isolamento i salari reali sono calati del 5 per cento?’, mi ha detto».

Nel 1936-1937 Ghezzi cerca di seguire da vicino gli avvenimenti della rivoluzione spagnola, sapendone di più di quanto riportato dalla stampa sovietica. Quando viene nuovamente arrestato, gli investigatori trovano le copie di due lettere inviate a funzionari bolscevichi in cui chiede di essere mandato in Spagna come volontario. È probabilmente un tentativo disperato di lasciare la Russia, oltre che di essere utile alla causa anarchica. Durante gli interrogatori dichiara di sentirsi «offeso dal potere sovietico, che mi ha negato la possibilità di andare in Spagna per partecipare al movimento rivoluzionario». Ovviamente Stalin, che sta conducendo in Spagna la stessa politica repressiva anti-anarchica attuata in Russia, non ha alcun interesse a mandare laggiù un altro anarchico.

 

L’ultimo arresto

Il 5 novembre 1937 Ghezzi è arrestato di nuovo. L'accusa formale nei suoi confronti è la seguente: «Essendo un convinto anarco-sindacalista, ha svolto agitazione controrivoluzionaria sul luogo di lavoro». L'accusa contiene inoltre un'insinuazione assurda ma comune in quel periodo: essere un «sostenitore del nazismo tedesco». L'arresto è corredato da materiale raccolto dagli agenti e testimonianze. A suo carico ci sono otto testimoni, tutte persone che lavorano nella sua stessa fabbrica. Uno di questi, che ha avuto una conversazione con Ghezzi mentre tornavano a casa dal lavoro, dichiara: «Ghezzi ha fatto un sacco di dichiarazioni diffamatorie sul leader operaio compagno Stalin. Mi ha detto di un libro pubblicato in Francia dove c'è la biografia di Stalin. Ghezzi ha detto che in quel libro c'è tutta la verità su Stalin, che la rivoluzione non l'ha fatta lui, ma quelli che adesso lui fa processare. In quel libro sta scritto che Lenin in punto di morte ha detto di non permettere che Stalin diventasse il leader. Ho riferito alla dirigenza sindacale questi sentimenti controrivoluzionari, che a sua volta li ha riportati al dirigente di Partito [della fabbrica]».

Ed ecco la sentenza di colpevolezza:

 

«I testimoni interrogati (otto persone) hanno dichiarato che Ghezzi... ha svolto in seno alla fabbrica attiva opera di agitazione controrivoluzionaria, ha fatto propaganda anarchica e diffuso notizie false sulla situazione dei lavoratori in URSS. Contemporaneamente, ha diffamato la dirigenza del VKPB e il potere sovietico. Durante il procedimento a carico del nucleo terroristico controrivoluzionario trotzkista ha fatto propaganda a favore dei nemici del popolo».

 

«Ha parlato della difficile situazione materiale dei lavoratori, ha dichiarato la propria incapacità di capire la democrazia sovietica a causa della presenza di un partito unico, ha messo in dubbio che tutti coloro che vengono arrestati dalla NKVD [la nuova denominazione della GPU] siano controrivoluzionari».

 

Ghezzi: «Dichiaro di fronte agli inquirenti di essere stato e di continuare a essere anarchico e nessuno può modificare queste mie convinzioni. Nel 1929 ho detto che il lavoro in Russia è sotto-pagato, che le posizioni dirigenziali sono occupate da burocrati, i quali contribuiscono a peggiorare la situazione dei lavoratori. A quel tempo ho apertamente dissentito dalla politica del partito, troppo lenta nella ricostruzione dell'economia, il che era la causa dell'esistenza in Russia di un esercito di disoccupati... Confermo di aver fatto numerose dichiarazioni anti-sovietiche, come di aver dissentito dalla politica sindacale del partito. Nel 1937 ho detto che nei sindacati sovietici non c'è vera democrazia, perché tutte le correnti politiche in Russia sono represse».

 

Vale la pena notare che uno dei testimoni, interrogato di nuovo nel 1956, quando il caso Ghezzi è stato riaperto, si è rifiutato di confermare la propria precedente testimonianza a carico, dicendo che all'epoca era stato minacciato dagli inquirenti.

Da parte sua, Ghezzi, pur trovandosi in una situazione simile a quella del 1984 orwelliano, non sente la necessità di fare compromessi o negare la propria responsabilità. Il regime staliniano non ottiene da lui alcuna pubblica confessione di aver aderito a idee «erronee», né lo vede «deporre le armi di fronte al partito». Sui giornali sovietici il suo nome non compare mai tra quelli degli oppositori e degli anarchici che hanno ammesso i propri «errori» di fronte al partito, e che subito dopo sono stati comunque uccisi dalla macchina repressiva dello Stato. Dopo il suo arresto, le indagini durano un mese. Viene interrogato tre volte, e non disconosce alcuna delle dichiarazioni che i testimoni asseriscono di aver udito. Nega solo di nutrire simpatie per il trotzkismo o per altre correnti di opposizione in seno al partito comunista (sebbene non neghi di aver aspramente criticato i processi staliniani contro i «nemici del popolo» e gli oppositori).

Nel periodo tra il suo arresto e la sentenza di colpevolezza, Ghezzi rimane rinchiuso alla Lubjanka, il carcere interno della NKVD, nel centro di Mosca. Poi viene mandato in un campo di lavoro oltre il Circolo Polare. Infine, il 3 aprile 1939 la commissione speciale della NKVD condanna Ghezzi a otto anni di lavori forzati, e due settimane più tardi viene mandato a Vorkuta.

Nel 1943, un altro decreto della NKVD (del 13 gennaio) condanna Ghezzi alla fucilazione per «dichiarazioni anti-sovietiche»: a quanto pare, nemmeno nel campo di prigionia ha cambiato idee e comportamenti. Ma la sentenza non viene eseguita, perché Ghezzi è già deceduto. Il suo certificato di morte porta la data del 3 agosto 1942.

Nel luglio 1955 Olga Gaake, sua moglie, scrive una lettera al leader sovietico Nikita Chruščëv chiedendogli di riaprire il caso di suo marito e riabilitarlo. Il 21 maggio 1956 il tribunale di Mosca chiude il riesame del caso Ghezzi dichiarando che «le prove a suo carico non erano sufficienti» e riformando la sentenza della NKVD. Di certo, il tribunale non ha potuto riformare la sentenza con la formula «per non aver commesso il fatto» in quanto Ghezzi è sempre stato un anarchico dichiarato.

«Senza dubbio, egli rimarrà per noi quello che è sempre stato, il compagno-in-armi di tutti coloro che lottano per la liberazione della classe operaia», scriveva Romain Rolland nel 1929 in un appello per la liberazione di Francesco Ghezzi. È un'espressione entusiastica che porta i segni del tempo in cui è stata scritta, e tuttavia descrive perfettamente la vita di Ghezzi, «anarchico dichiarato» che si è rifiutato di abbassare la testa davanti a Stalin e alla macchina della repressione statale, finché ha avuto fiato in corpo.

 

RISORSE

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