[fotografia per gentile concessione di Markus Kirchgessner]
Già pubblicata per ben due volte sul nostro Bollettino (numeri 17 e 42), torniamo nuovamente su questa poesia ritrattistica dedicata a Michail Bakunin dal grande scrittore e poeta tedesco Hans Magnus Enzensberger, che vogliamo ricordare a un mese dalla scomparsa, avvenuta il 24 novembre 2022, pochi giorni dopo il suo 93esimo compleanno.
Per Bakunin
di Hans Magnus Enzensberger
Desideravo solo una cosa, gridava, il sentimento dell’indignazione,
che sacro mi è, da mantenere completo e intero fino alla mia fine! -
Imbonitore, testardo, dannato cosacco! - Questo è l’amore
per il fantastico, un difetto principale della mia natura. - Maometto
senza corano!- La calma mi porta alla disperazione. - Un prestigiatore,
un papa, un ignoramus!- Il suo cuore e la sua testa sono fatti di fuoco.
Sì, Bakunin, è così che dev’essere stato. Un nomadizzare eterno,
folle e dimentico di se stesso. Insopportabile, irragionevole, impossibile
eri! Per me, Bakunin, ritorna, o resta dove sei.
Un’alta figura in frac blu sulle barricate di Dresda,
con un viso dalla rabbia più cruda. Fuoco
all’Opera! E quando tutto era perso, chiese, con in mano
la pistola, al Governo Rivoluzionario Provvisorio,
di farsi saltare (e lui) in aria. (Strana freddezza di sangue).
In larga maggioranza i signori rifiutarono la richiesta.
Ti ricordi, Bakunin? Sempre la stessa cosa. È ovvio che disturbavi.
Non c’è da meravigliarsi! E ancora oggi disturbi. Comprendi? Tu disturbi
semplicemente. E per questo ti prego, Bakunin: ritorna.
Interrogato, incatenato con ferri alla parete nelle casematte di Olmütz,
condannato a morte, trascinato in Russia, graziato a eterna galera:
un uomo altamente pericoloso! Nella sua cella un protettore
gli fa portare un pianoforte a coda di Lichtenthal. Perde i denti.
Per la sua opera Prometeo inventa una melodia dolce, melanconica,
al cui ritmo dondolava come un bambino la sua testa di leone.
Ah, Bakunin, questo è da te. (Dondolava la sua testa di leone:
ancora vent’anni dopo, a Locarno). E perché è da te,
e perché tanto lo stesso non ci puoi aiutare, Bakunin, resta dove sei.
Esiliato in Siberia, e fuggito lungo l’Amur azzurro ghiaccio
passando il Mare Pacifico, su velieri a vapore, slitte, cavalli,
treni espresso, attraverso l’America allo sbando, per sei mesi
senza fermarsi, finalmente, a Paddington, poco prima di capodanno,
precipitato fuori dall’hansom, su per le scale, si buttò
tra le braccia del cuore e gridò: Qui dove ci sono ostriche fresche?
Perché, in una parola, sei incapace, Bakunin, perché non sei buono
per fare la decalcomania il redentore il burocrate il prete
lo sbirro di destra o di sinistra, Bakunin: ritorna, ritorna!
Di nuovo in esilio. Non solo il rimbombare della rivolta, il rumore dei club,
il tumulto nelle piazze; anche il moto della serata precedente,
anche le intese, crittografie, parole d’ordine lo rendevano felice.
Grande senza fissa dimora, perseguitato da dicerie, leggende, diffamazioni!
Cuore magnetico, ingenuo e dissipatorio! Lui inveiva e gridava,
incitava e decideva, per tutto il giorno e per tutta la notte.
Non è vero? E poiché la tua attività, il tuo far niente, il tuo appetito,
il tuo eterno sudare sono di misura così poco umana
quanto te stesso, per questo ti consiglio, Bakunin, resta dove sei.
Il suo biografo, l’onnisciente, dice: era impotente. Ma Tatjana,
la piccola sorella vietata, suonando l’arpa nella bianca dimora da signori,
lo faceva diventare folle. I suoi tre figli però suoi non sono.
Ma a Nečaev, al mitomane, all’assassino, al gesuita, ricattatore
e martire della rivoluzione, scriveva: Il mio tigrotto, il mio boy,
il mio selvaggio tesoro! (Il dispotismo degli illuminati è il peggiore).
Ah, tacciamo sull’amore, Bakunin. Morire non volevi.
Non eri un angelo della morte polit-economico. Tu eri confuso
come noi, e innocente. Ritorna, Bakunin! Bakunin, ritorna.
Finalmente la notte a Bologna. Era in agosto. Era alla finestra.
Origliava. Niente si muoveva in città. Suonavano le campane delle torri.
L’insurrezione era fallita. Iniziava a fare chiaro. In un carro di fieno
si nascondeva. La barba rasata, nell’abito di un parroco,
un cestino di uova sul braccio, occhiali verdi, con il bastone
fino in stazione zoppicò, per morire in Svizzera, nel suo letto.
Tanto tempo è passato da allora. Sarà che forse era troppo presto,
come sempre, o troppo tardi.
Niente ti ha confutato, niente hai dimostrato,
e per questo resta, resta dove sei, o per me, ritorna.
Masse di carne e di grasso enormi, idropisia, malattia della vescica.
Roboante ride, fuma in continuazione, ansima, inseguito dall’asma,
legge telegrammi cifrati e scrive con inchiostro simpatico:
Sfruttare e governare: la stessa e unica cosa. È gonfio e sdentato.
Tutto si copre di cenere di tabacco, cucchiaini da tè, giornali. Davanti alla casa
saltellano le spie. Dappertutto casino e sporcizia. Il tempo si consuma.
Della polizia l’Europa porta ancora l’odore. Per questo,
e poiché mai e da nessuna parte Bakunin è esistito,
esiste o esisterà un monumento a Bakunin,
Bakunin, ti prego: ritorna, ritorna, ritorna.
M.A.B. (1814-1876), in Mausoleum Siebenunddreissig Ballden aus der Geschichte des Fortschritts, Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1975
traduzione di Maria Mesch