Oltre il dualismo
di Chaia Heller
fonte: «A rivista anarchica», numero 163, 1989.
L'ecofemminismo deve comprendere a fondo le origini della gerarchia e della dominazione, superando una visione del mondo che separa natura e cultura, spirito e materia, maschile e femminile.
Il tentativo dell'uomo di sottomettere al proprio controllo questo "regno della necessità" che chiamiamo natura è espresso dalla religione, dalla scienza e dalla filosofia occidentali. Secondo tutte queste discipline, la natura è un mondo separato dall'uomo, un regno della necessità che l'uomo deve controllare, ordinare, comprendere e infine trascendere.
Come Murray Bookchin ha dimostrato nella sua opera "Freedom and Necessity in Nature", il concetto di una natura rigidamente deterministica sottintende un profondo dualismo tra natura e cultura, da cui derivano molte altre separazioni: spirito e materia, maschile e femminile, soggetto e oggetto, che si fondano sulla convinzione che esista una natura deterministica separata dalla cultura (sacra prerogativa dell'uomo). Il modo percettivo e cognitivo dualistico ha implicazioni letali: semplifica la conoscenza umana a tal punto, che l'intricata complessità del mondo naturale si riduce soltanto a una serie di fenomeni opposti, polarizzati e antagonistici.
Il dualismo presuppone un atteggiamento da "divide et impera", per effetto del quale il soggetto, dopo aver diviso la molteplicità dei fenomeni naturali interconnessi in semplici coppie di opposti polarizzati, assegna un valore ai componenti di ciascuna coppia. Così facendo, si potrà giustificare la prevalenza dell'elemento "meno desiderabile" da parte di quello "più desiderabile", preparando il terreno alla gerarchia ed al dominio.
Per l'ecofemminismo comprendere le origini della dominazione e della gerarchia è essenziale. Proprio perché una concezione dualistica e rigidamente deterministica della natura è stata utilizzata dall'uomo occidentale per giustificare il dominio sulla donna e sulla natura, vorrei analizzare più a fondo i concetti di libertà, necessità e natura. Per dimostrare che questa dominazione è illegittima, dobbiamo smascherare e distruggere il mito della legge naturale (...).
Le teorie femministe passate e presenti non hanno ancora rivoluzionato il concetto di natura. Benché molte femministe dichiarino di rifiutare l'idea di una natura deterministica e gerarchica, di fatto il femminismo è ancora viziato dal dualismo. Allargando alla critica femminista il concetto estremamente innovativo di Bookchin della natura come regno di potenziale libertà, creeremo la possibilità di un "ecofemminismo radicale". Una critica siffatta farebbe piazza pulita dell'angusta idea deterministica della natura che ancora sopravvive nella teoria femminista, sostituendovi una teoria e una politica ispirate a una concezione radical e liberatoria del mondo naturale, un mondo non completamente legato dalle catene della legge naturale.
Le prime femministe sostenevano che l'oppressione della donna fosse causata dalla convinzione che il genere sia determinato dalla legge naturale.
Oggi le "femministe culturali" sostengono che il genere sia determinato dalla legge naturale, ma che l'oppressione delle donne sia un effetto della negazione patricentrica dei valori femminili derivati dalla legge naturale.
Benché sia il femminismo "liberal" che il femminismo culturale offrano diverse interpretazioni del rapporto tra le donne e la cultura patricentrica, entrambe le tendenze condividono la concezione dualistica, secondo la quale la cultura si contrappone a una natura rigidamente deterministica. Per le femministe "liberal", la cultura è il mezzo mediante il quale il genere umano può trascendere la sua natura interna ed esterna. La cultura è il regno della libertà, una realizzazione che ci affranca dal dominio di una natura deterministica, soggiogata alla legge naturale.
Simone de Beauvoir, una femminista socialista, si può considerare la caposcuola di quello che io chiamo femminismo liberal. Nel suo libro "Il secondo sesso" ha proposto il modello di un mondo nel quale le donne potranno conquistare la libertà e l'uguaglianza con gli uomini, purché imparino a trascendere il mondo della legge naturale.
Per Simone de Beauvoir lo sviluppo delle donne deve superare l'identificazione con una natura deterministica che è la causa dell'anatomia, della posizione sociale e della psicologia femminile. L'identificazione femminile della natura come regno della necessità riflette uno stato sottosviluppato di "immanenza", che le donne supereranno quando trascenderanno le leggi del mondo naturale partecipando alla costruzione della cultura (...).
Infine, conservando la concezione dualistica secondo la quale natura e cultura sono due entità opposte e contrastanti, le femministe "liberal" conservano anche l'idea secondo la quale uomini e donne sono entità opposte e polarizzate. Di nuovo, de Beauvoir vede l'uomo come il creatore originario della cultura e la donna come un essere storicamente vincolato dalla propria immanenza. Come se non bastasse, le femministe "liberal" sostengono che i conflitti e le differenze tra uomini e donne si dissolveranno semplicemente quando le donne saranno capaci di trascendere il regno della necessità. (...)
Una cultura nuova e migliore?
Anche il femminismo culturale, l'altra linea teorica femminista, non riesce a superare il proprio dualismo di fondo. Al pari delle liberal, anche le femministe culturali sostengono che la cultura si contrappone a una natura deterministica. Mary Daly, Andrea Dworkin e Sally Gearhart sono forse le più intelligenti ed efficaci portavoce della teoria femminista culturale, secondo la quale la cultura odierna si contrappone a una natura deterministica femminile. Invece di considerare la cultura come regno di libertà, le femministe culturali sostengono che la cultura odierna nega una natura che rispetta leggi naturali femminili.
Di fatto, le femministe culturali credono che le donne possano creare una cultura nuova e migliore, fondata su leggi naturali femminili. Uno dei fondamenti del femminismo è l'esistenza di certi inestricabili principi femminili, che le donne possono conoscere e incorporare. La capacità " innata" di cooperare, una spiccata sensibilità ecologica e una natura pacifica sono soltanto alcuni di questi principi, ai quali la natura femminile si conforma. È interessante notare che le donne che non si comportano secondo questi principi sono considerate vittime di un condizionamento patriarcale, mentre nessuna distinzione viene fatta tra la mascolinità patriarcalmente condizionata e il carattere maschile determinato biologicamente. Si pensa che principi maschili quali la competitività, l'aggressività, la bellicosità e una spiccata razionalità siano "innati" negli uomini. Fondamentalmente si ritiene che questa natura maschile esista a priori e indipendentemente dal condizionamento patriarcale.
Il femminismo culturale prende le distanze dalla cultura maschile, governata da principi maschili, e tende alla creazione di una cultura che esprima la propria vera, innata natura. Libertà non significa più trascendere le leggi della natura, bensì riconoscere la necessità, accettare e persino venerare la legge naturale. Per conquistare la libertà, le donne devono riconoscere la necessità della legge naturale femminile.
Nella sua opera affascinante, Gyn/ecology, Mary Daly, dichiara: "II salto in quello spazio libero che è la consapevolezza femminilmente identificata, richiede una vera e propria mutazione mentale/comportamentale. Quando le donne onorano le donne, le categorie fallocratiche del bene e del male non hanno più alcun valore".
Secondo Daly, se le donne compiono questo salto nello "spazio libero" consapevoli della propria natura femminile, i valori della cultura patricentrica si dissolveranno.
Più oltre nel libro, Daly avanza l'ipotesi che l'"origine" delle donne sia diversa da quella degli uomini e che, riallineando la propria consapevolezza per adattarla alla natura femminile, le donne "libereranno la dinamica verso l'amicizia, insita nel rapporto madre-figlia, che il sistema maschilista ha soffocato". (...)
La necessità di una concezione ecolibertaria della natura fondata sull'ecologia sociale appare sempre più chiara quando pensiamo al modo in cui le femministe "liberal" e culturali concepiscono il rapporto tra "donna e natura". Sia le une che le altre accettano l'idea tradizionale, secondo la quale le donne sono legate alla natura "più" degli uomini: hanno soltanto opinioni diverse sulla necessità di troncare o al contrario esaltare questo "speciale" legame (...).
La convinzione che alcuni soggetti siano legati alla natura più di altri è fondamentalmente dualistica e riflette evidentemente una mancanza di sensibilità ecologica. Lo studio dell'ecologia sociale dimostra che esiste un'interconnessione tra tutti gli esseri che vivono in una ecocomunità[*]*. La vita si fonda sul fatto che tra tutti gli esseri viventi, ma anche non viventi, vi sia un rapporto di interdipendenza, dal quale emergono sempre nuove forme di vita differenziate e complesse.
La concezione occidentale, per cui il grado di connessione è quantificabile, rivela un'incapacità di comprendere appieno il concetto di interconnessione. Se riconosciamo di vivere in un mondo in cui tutti i soggetti sono sempre fondamentalmente interconnessi, l'idea secondo la quale alcuni soggetti sono "più" o "meno" connessi di altri diventa evidentemente assurda. In definitiva, ciò che resta da vedere è il modo in cui tutte le forme di vita sono interconnesse. (...)
Una critica radicale ecofemminista della questione "donna e natura" dovrebbe permetterci di definire un modo per uscire da questa impasse dualistica. Superato il dualismo, vedremmo che il problema da risolvere sarebbe quello di spiegare il diverso rapporto tra le donne e la natura senza affermare che le prime siano connesse alla seconda "più" degli uomini.
Amnesia ecologica
La risposta al quesito appare evidente nel momento in cui ci si rende conto che le donne non sono connesse alla natura più degli uomini, ma semplicemente che le donne si ricordano di più del loro rapporto di interconnessione con il mondo naturale. È possibile che le donne abbiano conservato una consapevolezza primaria dell'intersoggettività, una consapevolezza che secondo me risiede nel nucleo più profondo della coscienza. Per molte e diverse ragioni biologiche, sociali e culturali, gli uomini non hanno mantenuto la coscienza dell'intersoggettività. Anzi, l'umanità è diventata dualistica ed ha accettato una consapevolezza secondaria, che inibisce la capacità di "ricordare" l'interconnessione del mondo naturale. La tendenza a dimenticare la connessione tra tutti gli esseri viventi è ciò che io chiamo "amnesia ecologica".
Per contro, definisco "memoria ecologica" la capacità di ricordarla. Se consideriamo il rapporto donna/natura sotto questa luce, ci rendiamo conto che le donne non sono connesse alla natura più degli uomini, ma che esse hanno dimostrato, nel corso della storia, la tendenza a mantenere una memoria ecologica.
È essenziale sottolineare l'importanza del termine "tendenza" usato per descrivere l'associazione donne-memoria ecologica, perché questa connessione non deve essere intesa in alcun modo come indicatrice di una legge naturale. L'ho descritta come un'inclinazione, una scelta evolutiva che molte donne hanno compiuto a livello inconscio. Nel suo libro In a different voice, Carol Gilligan definisce "empatia" ciò che io chiamo memoria ecologica. Secondo Gilligan, molte donne hanno mantenuto la capacità di manifestare una grande empatia verso gli altri esseri viventi; una capacità correlata sia alla potenzialità materna delle donne, sia alla loro identificazione con le proprie madri. In ambo i casi, le donne provano empatia per i propri piccoli o si identificano con altre donne, nelle quali osservano quella stessa empatia.
La maternità non è caratterizzata necessariamente da manifestazioni di empatia. Ciascun individuo rappresenta un dialogo unico ed irripetibile tra le proprie esperienze biologiche e culturali e compie scelte consapevoli e inconsapevoli su come interagire con la propria comunità ecologica. Esistono certamente donne prive di empatia, così come esistono uomini empatici, e madri che non esprimono la loro potenzialità ad instaurare legami empatici. Inoltre, molte donne hanno accettato il mito della trascendenza; in particolare molte donne della tradizione femminista liberal.
La memoria ecologica riveste un'importanza decisiva per l'ecofemminismo. A mano a mano che riconosciamo e sviluppiamo la nostra consapevolezza dell'interconnessione di tutte le cose, cominciamo a vedere la natura come un regno di libertà potenziale e in costante sviluppo. Vediamo che nella natura tutti gli esseri viventi partecipano insieme al compimento di scelte inconsce e anche consce (seppure in senso rudimentale) circa la propria evoluzione.
Quando si scopre che la natura è una rete varia e fittamente interconnessa, essa ci appare attiva, creativa e partecipe. (...)
Valorizzare le ecocomunità
Per superare il dualismo dobbiamo valorizzare la complessità delle nostre stesse strutture mentali. Dobbiamo renderci conto che storicamente la nostra specie ha represso la memoria dell'interconnettività della vita. Abbiamo trasformato la nostra consapevolezza della complessività ecologica in strutture di pensiero rigide, dualistiche e riduzioniste. Abbiamo semplificato la portata e lo spettro dei nostri sentimenti, impoverendo rapidamente la nostra immaginazione. Infine, ciò che forse è più grave, abbiamo utilizzato queste strutture cognitive impoverite nell'interazione con il mondo e con il prossimo.
Le nostre percezioni e cognizioni definiscono la forma della nostra interazione con il mondo. In quanto ecofemministe, non possiamo pensare in termini riduttivi e dualistici. Se conservassimo queste strutture di pensiero semplicistiche, riprodurremmo e rafforzeremmo i dualismi che in passato hanno viziato le teorie femministe fallo-accademiche. L'ecofemminismo radicale implica una rivoluzione nel modo di considerare la natura. Ci ribelliamo a un modo di pensare che ha semplificato il suolo, le foreste, l'aria e le strutture comunitarie. La gerarchia, il patriarcato e la centralizzazione del potere sono conseguenze dell'aver vissuto il mito del dualismo e dell'aver represso la memoria ecologica. In quanto ecofemministe, sappiamo che non possiamo più concederci il lusso di pensare semplicisticamente.
L'ecofemminismo mira a valorizzare e ad approfondire la comune memoria ecologica, elaborando criticamente un modo per uscire dal dualismo. A mano a mano che acquistiamo consapevolezza delle connessioni tra le strutture storiche di pensiero e i fatti storici, accresciamo la complessità delle nostre strutture di pensiero e possiamo agire in modo da riflettere la consapevolezza dell'interconnessione della vita. Pensare ecologicamente consente di interagire nel mondo valorizzando le ecocomunità. La rivoluzione ecofemminista inizia con il passaggio dalla dua-logica all'eco-logica. L'ecofemminismo radical va oltre i due femminismi precedenti, perché ritiene che la cultura si sviluppi dalla natura. La cultura è il "regno della libertà" non perché trionfa sulla natura, ma perché attua le potenzialità latenti nella natura. Gli esseri umani nascono e vivono nel mondo naturale. Noi siamo, come dice Griffin, "Natura in cerca della natura... natura con un'idea della natura". La nostra evoluzione è inestricabilmente interconnessa a quella di tutti gli altri soggetti nel mondo.
Il pensiero che penetra e supera il dualismo porta a rendersi conto che nulla è separato dal "mondo naturale". La matita con la quale scrivo, una stella che dista un milione di anni luce, un sacchetto di plastica sono interconnessi nel mondo naturale, indipendentemente dai valori estetici, culturali o economici che decidiamo di assegnare loro.
È importante capire, però, che essere "naturale" non significa necessariamente favorire la vita. Infatti, ciò che è "naturale" non deve essere necessariamente buono o cattivo. La natura è un regno al di là dei concetti tradizionali di male e bene, nel quale gli eventi si dividono in eventi che accrescono la diversità e la complessità dell'ecocomunità ed eventi che la semplificano. Ad esempio, i fertilizzanti chimici non arricchiscono l'ecocomunità allo stesso modo dei concimi organici: i primi tendono a trasformare il suolo in sabbia, in un mero deposito minerale di sostanze nutrienti semplici e prive di vita, mentre i concimi organici tendono ad arricchire la complessività del suolo e a svilupparvi la varietà di forme di vita e di reti alimentari.
Similmente, le stesse costruzioni culturali, intese come parte d'un continuum naturale, dovrebbero essere analizzate per scoprire quale sia la loro potenzialità di accrescere o diminuire la complessività dell'ecocomunità. È chiaro che le culture patricentriche gerarchiche non favoriscono la complessità della vita sociale come farebbe una cultura libertaria basata sull'ecologia sociale. Le culture patricentriche centralizzano il potere e riducono il numero dei partecipanti attivi alla struttura politica a poche figure elitarie e ad alcuni organismi burocratici. Per contro, le forme culturali ecolibertarie possono arricchire la complessità delle strutture politiche promuovendo la partecipazione attiva di tutti gli individui e la formazione di comunità a tutto tondo. In un gruppo politico ecolibertario si verifica un effettivo riciclaggio del potere; lo stesso meccanismo del consenso richiede che ciascun individuo assuma piena responsabilità per le decisioni del gruppo, garantendo una maggiore distribuzione del potere decisionale e della democrazia.
Superare la psicologia dualistica
Noi donne autocoscienti, che abbiamo vissuto indagando le implicazioni delle strutture di pensiero dualistiche, siamo giunte al punto in cui possiamo scegliere se creare una cultura affermatrice di vita.
Di nuovo, l'ecofemminismo radical propone una concezione non dualistica, non riduzionista e dialettica della natura. Se pensiamo dialetticamente, ci rendiamo conto che i fenomeni che nell'ottica dualistica possono apparire "opposti" sono in realtà soggetti realmente complementari, dai quali possono svilupparsi altri soggetti anche più complessi. È il rapporto dinamico tra soggetti diversi a favorire l'evoluzione e la complessità. Se pensiamo dialetticamente, con una sensibilità ecologica, ci rendiamo conto che differenza non vuol dire necessariamente conflittualità. La differenza rappresenta un'opportunità di integrazione creativa. I rapporti dialettici costituiscono un processo di divenire continuo, con sbocchi sempre aperti. Questa apertura è la libertà.
Cominciando a radicalizzare la nostra concezione della natura, potremo anche sviluppare una psicologia, una politica e una spiritualità femministe nuove, che incorporino la complessità e la diversità del mondo naturale.
Abbiamo un disperato bisogno di elaborare una nuova teoria psicologica, utilizzando le nostre storie personali e collettive, per sviluppare il tema della natura umana come "regno della libertà". Dobbiamo vedere l'evoluzione storica e attuale delle donne come un processo autodiretto e a sbocco aperto, non come un percorso inevitabile determinato dalla legge naturale.
Innanzitutto, questa psicologia ecofemminista deve collocare sia il genere che l'identità sessuale nell'ambito della scelta. Il genere deve essere considerato un'evidenza della diversità nella natura; una cosa desiderata, sotto il profilo sia biologico che culturale, dalla quale possono emergere infinite variazioni. Storicamente, abbiamo confuso il problema del genere con la legge naturale. La cultura occidentale ha strutturato la specie umana intorno a coppie polarizzate basate sul genere, assegnando valori opposti a ciascun elemento. Superando la psicologia dualistica, possiamo cominciare a desiderare il genere come un "regno della libertà": un mondo di unità nella diversità, nel quale vi è stata sempre una varietà di ruoli sessuali, che storicamente è stata sempre vissuta parzialmente o repressa. Una concezione ecofemminista del genere favorirebbe un diverso spettro di identificazione sessuale, che costituirebbe un'alternativa alla blanda androginia alla quale soccombiamo quando accettiamo lo slogan femminista "radical" della "unità a ogni costo". Il genere, come la diversità, proietta l'immaginazione utopica oltre l'idea dei principi femminili, elaborata dal femminismo culturale. Là femminilità e la mascolinità vengono private dei loro confini e l'orientamento sessuale diviene aperto, fino ad includere l'intero spettro dei momenti o delle fasi sessuali di un processo incessante.
Il superamento delle strutture di genere rigide e polarizzate e delle categorie di preferenza sessuale presuppone una nuova concezione del genere come regno della diversità e della libertà. Radicalizzare in questo modo la nostra concezione del genere significa imporsi di rispettare la nostra evoluzione personale e collettiva. L'identità sessuale autodeterminata riflette un dialogo tra il proprio gruppo personale e biologico e la propria ecocomunità. Se possiamo accettare e valorizzare il fatto che vi sia una diversità di scelta di genere, allora i ruoli che storicamente sono stati repressi possono essere incoraggiati a farsi avanti, ad aprire nuove vie rivoluzionarie. Superare dualismi quali omosessuale/eterosessuale e uomo/donna può consentirci di creare nuovi modi di essere donne e uomini individuali in un mondo riccamente variegato. Questa concezione radicale della natura sessuale umana amplia l'orizzonte della libertà. Promuovendo consapevolmente le potenzialità latenti delle nostre nature sessuali, giochiamo un ruolo critico e catalitico nella nostra stessa evoluzione. Non abbiamo più bisogno di appellarci a una legge naturale costrittiva per legittimare le nostre identità sessuali e possiamo cercare le basi etiche di una società libera nella dimensione della libertà nella natura.
L'omofobia si fonda sulla convinzione che vi sia una sessualità umana "naturale" di orientamento eterosessuale. Nella comunità lesbica delle femministe culturali esiste un'analoga "eterofobia", basata sulla convinzione che la sessualità femminile naturale abbia un orientamento omosessuale. È proprio questo modo di pensare duro e rigido che l'ecofemminismo vuole combattere. Ridurre lo spettro diversificato delle scelte di orientamento a categorie semplici come eterosessuale, bisessuale e lesbica significa favorire ruoli sessuali repressivi e gerarchici. (...)
Ma che cos'è la "natura femminile"?
A questo punto la questione che si pone è: "come possiamo costruire una cultura e una politica identificate femminilmente, dopo aver superato il dualismo e rivoluzionato il nostro concetto di natura, senza cercarne la validità nella legge naturale?" Se non esiste una "natura femminile" scolpita nella pietra, su che cosa possiamo fondare una cultura identificata femminilmente? Potremmo chiederci: cos'è la natura femminile? Io propongo che una cultura identificata femminilmente esalti una natura femminile non determinata dalla legge naturale, ma basata sulle particolari esperienze di ogni singola donna della collettività. Il principio femminile rappresenta una tendenza verso un'esperienza femminile distinta, fondata su un'autoindirizzo oggettivo e non su un determinismo "legale". Dobbiamo esprimere le infinite e diverse scelte evolutive che ogni donna compie nel contesto del proprio ambiente biologico e culturale. Possiamo anche esaltare le più vaste tendenze nell'ambito della storia collettiva femminile, rafforzando il nostro senso di identità e di unità collettiva. Tuttavia dobbiamo essere sempre pronte a guardare oltre queste più vaste "tendenze" femminili, e a ricordare che la rete complessa e variegata della comune esperienza femminile comprende le singole donne in quanto individui. Ogni donna sceglie, reagisce e si evolve a modo suo.
Ma abbiamo bisogno anche di creare una più vasta comunità femminile: una comunità delle donne transculturale, persino globale. Mentre esaltiamo la ricca diversità delle nostre vite in tutto il mondo, non possiamo permettere alle nostre caratteristiche particolari di alienarci le une dalle altre. Come propone Ynestra King, dovremmo creare la possibilità di un dialogo faccia a faccia tra le donne di nazioni diverse. Abbiamo bisogno di imparare di più sulla diversità della nostra esperienza, oltre che sulla nostra esperienza comune. Il pianeta diventa sempre più piccolo: poiché gli effetti universali della tecnologia nucleare ci riguardano tutti, ora ricordiamo ancora di più la nostra interconnessione e dovremmo utilizzare questa nuova consapevolezza per sviluppare un'acuta sensibilità circa gli effetti che tutte le nostre azioni e decisioni politiche hanno sulle donne nei diversi paesi. Le donne devono unirsi per acquistare maggior forza e solidarietà nella lotta per la vita del pianeta che condividiamo come specie.
Per essere libere di creare una cultura identificata femminilmente, le donne devono lottare contro quella paura di instaurare un legame, indotta culturalmente, che storicamente ha sempre costretto le donne a rimanere separate le une dalle altre. (...)
Infine dobbiamo lodare le femministe radical che rivendicano per le donne la proprietà del loro corpo. In quanto espressione della natura, anche i nostri corpi devono costituire un regno di libertà e di scelta. Le donne devono rivendicare il diritto di essere levatrici, guaritrici e madri se e quando scelgono di esserlo. Le donne devono lottare per il diritto di scegliere l'aborto in tutta sicurezza e libertà, e per il diritto di avere accesso a mezzi di controllo delle nascite alla loro portata. Così facendo amplieremo lo spettro delle possibilità di scelta nelle nostre vite.
Ritessere la rete
Aprendo la natura umana come "regno di libertà" e di scelta, dobbiamo sviluppare un'etica ecologica sulla quale fondare una cultura politica. In breve, dobbiamo dedicarci a "ritessere" la rete delle nostre strutture politiche. Come ha brillantemente osservato Murray Bookchin, un'etica ecologica deve fondarsi su una vasta rete di partecipazione.
Una politica di partecipazione (è) una politica che promuove l'autopotenziamento piuttosto che il potenziamento dello stato. Una politica siffatta deve diventare veramente una politica della gente, organica nel senso che la partecipazione politica sia letteralmente protoplasmica e popolata di assemblee e discussioni faccia a faccia rafforzate dalla veridicità del linguaggio corporeo oltre che dal processo razionale del discorso. L'etica politica che ne consegue deve mirare alla creazione di una comunità morale e non soltanto "efficiente"; di una comunità ecologica, non soltanto contrattuale; di una prassi sociale che incrementi la diversità e non soltanto di una cultura politica che inviti alla più ampia partecipazione pubblica.
Una politica morale nasce da un'etica ecologica.
Dobbiamo creare una base oggettiva per la determinazione del valore etico delle nostre azioni politiche, in modo che il fatto di "affermare la vita" diventi il metro con cui misurare il contenuto etico dei nostri valori politici. Quando pensiamo ecologicamente ci rendiamo conto che dobbiamo lottare costantemente contro l'omofobia, perché riduce lo spettro della scelta e della diversità umana. Quando ci confortiamo con un'etica ecologica, ci rendiamo conto che l'omofobia nega la vita, perciò è negativa sotto il profilo etico. Allo stesso modo, ci rendiamo conto che dobbiamo combattere il razzismo, perché esso rappresenta il desiderio di degradare la diversità razziale della specie umana. Anche il razzismo, in quanto forma di riduzionismo, nega la vita. E dobbiamo lottare anche contro la tecnologia nucleare per gli effetti distruttivi che le radiazioni hanno sull'ecocomunità. Il cancro, le possibili mutazioni genetiche e la produzione di plutonio utilizzata da pochi uomini nei governi centralizzati allo scopo di mantenere una posizione dominante nella gerarchia globale rappresentano una minaccia mortale, riduttiva.
Dobbiamo valutare attentamente ogni impegno politico per essere certe che l'obiettivo sia quello di accrescere la diversità ecologico-politica e la partecipazione. "Radicalizzando" la nostra concezione della natura, "radicalizzeremo" anche la nostra idea di cultura. Presto il concetto di legge naturale, nella sua forma riduzionista, diventerà anacronistico e le strutture politiche legittimate da una concezione gerarchica verranno meno.
Per facilitare l'abbandono della vecchia concezione della natura dobbiamo costruire una società "riproduttiva" e non semplicemente "produttiva". Dobbiamo creare alternative alla sindrome produzione-consumo che ci sta portando all'ecocidio. Nella cultura attuale, i processi di produzione e di consumo hanno entrambi l'effetto di semplificare l'ecocomunità.
Dobbiamo costruire una cultura riproduttiva, nella quale il consumo abbia una funzione nutritiva tanto quanto la produzione. Il processo del consumo deve entrare nell'ambito ecologico per accrescere la fecondità dell'ecocomunità.
Per un consumo creativo
"Radicalizzando" il nostro concetto di consumo svilupperemo un senso di responsabilità ecologica, in base al quale tutte le nostre azioni saranno misurate in funzione della loro capacità di rendere più fertile il suolo culturale. Come la riproduzione sessuale può accrescere la diversità e la stabilità di un pool genetico, una filosofia di consumo creativo può accrescere la diversità e la stabilità dei nostri rapporti sociali ed ecologici.
Per trasformare la nostra società in una società ecologica dobbiamo intraprendere l'azione diretta. In quanto ecofemminista radical, la nostra politica dovrebbe essere l'espressione microcosmica del tipo di società ecolibertaria nella quale vogliamo vivere. La nostra azione diretta deve esprimere i principi di unità nella diversità e dell'interconnessione della vita, propri dell'ecologia sociale. Le nostre azioni non dovrebbero essere soltanto razionali, ma anche creative, immaginative, rabbiose. Quando penso all'azione diretta, mi vengono in mente le azioni condotte dalle donne nei campi pacifisti di Seneca e di Greenham Common. Provo gioia nel ricordare la storia di donne che sventolano pezzi colorati delle loro vite attraverso le barriere di filo spinato, che si aiutano a vicenda ad arrampicarsi su quei muri, che srotolano gomitoli di filo attraverso gli alberi - davanti alle auto della polizia e ai fucili - tessendo reti colorate che simboleggiano i rapporti di interconnessione che ci legano le une alle altre. Vorrei che le nostre azioni esprimessero i capricci di una natura libera, dimostrando che non vogliamo più sottometterci a norme legittimate da una concezione gerarchica della legge naturale. Vorrei che le nostre azioni mostrassero che siamo pronte a superare una politica anacronistica creando una più audace politica ecologica.
Il superamento delle forme cognitive e culturali anacronistiche consente di esplorare una nuova spiritualità. Riconoscendo la dimensione della libertà nella natura, potremo cominciare a immaginare come possa essere una sensibilità spirituale che non cerchi la propria validità nell'autorità dualistica, gerarchica. Potremo anche cominciare a chiederci se sia possibile pensare a un fondamento oggettivo e razionale per la spiritualità, senza mantenere la dualistica separazione tra creatore e creato. Che cosa significa pensare a una natura autocreante, a una natura capace di autodirigersi? La stessa evoluzione dimostra che la natura va verso livelli crescenti di complessità e diversità nell'ambito delle ecocomunità, e che negli orizzonti aperti verso cui la natura tende vi è una dimensione di obiettiva razionalità.
E tuttavia non dobbiamo confondere questa autodirettività con un determinismo trascendentale. Non possiamo guardare una foglia e dire: "Dev'essere stata sempre così". Piuttosto, dobbiamo guardare la foglia e riflettere sugli esseri interconnessi nella natura, che hanno contribuito ad esprimere la potenzialità che la foglia rappresenta. Nella natura c'è una misura per quanto rozza, di "ragionevolezza". La natura è "razionale", eppure i suoi orizzonti sono aperti. E proprio questi orizzonti aperti possono costituire il fondamento per una nuova spiritualità.
Una spiritualità ecologica rappresenta la celebrazione dell'interconnettività di tutta la vita e al tempo stesso anche della diversità di tutte le forme di vita.
Il rispetto per le caratteristiche delle specie presuppone che non ci poniamo al disopra, né al disotto della natura. Non ci glorifichiamo come esseri trascendenti, al di sopra della natura, ma neppure glorifichiamo la natura con falsa umiltà, come qualcosa di "superiore" o di "più sapiente" rispetto a noi.
Un'autentica spiritualità ecologica ci consente di rispettare ciò che rende unica la specie umana e ciò che rende le donne diverse dagli uomini. Una spiritualità non dualistica esprime la capacità di onorare la diversità di tutte le forme di vita.
Non esistono rigide "leggi naturali"
La spiritualità è una forma di consapevolezza e di sensibilità che ci accompagna in tutti gli aspetti della vita. Se riuscissimo a sviluppare una spiritualità ecologica, potremmo integrare i principi di interdipendenza e di complementarietà nei nostri rapporti personali, nelle nostre strutture politiche, nella nostra comunità. Potremmo creare rituali e cerimonie per consentirci di approfondire la consapevolezza dell'interconnettività della vita. I rituali ci aiuterebbero a risvegliare la nostra memoria ecologica, a modificare le nostre percezioni per poter acquisire coscienza della potenzialità della natura che normalmente non fanno parte della nostra vita quotidiana. Con la forza della rievocazione, la pratica dei rituali e la meditazione potremmo riuscire a cogliere la ricchezza di significati che è propria del mondo naturale.
Se riuscissimo a renderci conto che in realtà non esistono rigide "leggi naturali" capaci di governarci completamente, la natura si rivelerebbe ai nostri occhi come un mondo di schemi, simmetrie e forme complementari, intrecciate insieme ed evolventi in una direzione che non potremo mai conoscere a fondo, e tanto meno "governare". La stessa evoluzione, che impersoniamo, è qualcosa che potremmo celebrare spiritualmente nel nostro intimo. Dovremmo celebrare la potenzialità della natura umana e ciò che essa esprime di inaspettato e spontaneo, allo stesso modo in cui rispettiamo la capacità umana di ragionare e di autodirigersi.
Lo spirito non è limitato ad un genere o ad una razza, né segue principi femminili o maschili. Esso esiste naturalmente nel tessuto stesso della vita. Quando attribuiamo un genere, un colore o uno status alle nostre divinità, pecchiamo di idolatria. I simboli rappresentano un mondo trascendentale separato dalla natura. Come ha osservato Murray Bookchin, "la venerazione per la natura, la mitizzazione del mondo naturale al di sopra dell'umano degrada la natura, perché nega al mondo naturale la sua universalità, il suo esistere ovunque, libero da dualità quali lo "Spirito" e "Dio"... Una natura "venerata" è una natura separata nel senso cattivo del termine".
Lo spiritualismo e lo scientismo e una ipostatizzazione della tecnologia sono stati usati dall'uomo per giungere a controllare la società, oltre che la natura. La gerarchia, la dominazione e l'oppressione sociale hanno sempre cercato la loro validità in queste antiche "catene". Come esseri umani in grado di discernere oggi, le implicazioni degli errori storici della dua-logica, possiamo inaugurare un'epoca in cui le nostre vite personali, politiche e spirituali cerchino validità nella eco-logica; una logica insita nelle stesse cellule dalle quali siamo formati. La legge naturale, che un tempo doveva servire ad alleviare il senso di sconforto che ci coglieva dinanzi alla complessità del mondo naturale, rischia di ritorcersi contro coloro che la vogliono usare per spiegare tutti i fenomeni. Minaccia di limitare la libertà in genere, al limite anche la nostra libertà personale di agire.
L'ecofemminismo radicale deve rivoluzionare la nostra concezione della natura e deve spingerci ad agire.
Le donne devono elaborare una nuova eco-prassi fondata sull'ecologia sociale, perché solo così il mondo naturale e il mondo sociale potranno sopravvivere.
traduzione di Michele Buzzi
Note
[*] Uso di proposito " ecocomunità" al posto di "ecosistema". Come ha osservato Bookchin, "ecosistema" fa pensare a una natura interpretata secondo la teoria dei sistemi. Il termine " comunità" rende meglio la natura organica e dialettica dei rapporti animali-piante e mantiene il carattere simbiotico dell' evoluzione naturale.