Il convegno internazionale di studi su I nuovi padroni, di cui questo volume raccoglie le relazioni e le comunicazioni, ha visto una partecipazione non inferiore a quella del convegno bakuniniano del settembre ’76.
[...] Come già per il convegno bakuniniano, anche a questo convegno gli organizzatori hanno invitato studiosi di diversa matrice ideologica e di diversa impostazione metodologica. [...] Così, ad analisi propriamente libertarie si sono alternate — seppure in numero minore — altre che muovevano da posizioni liberalsocialiste o più-o-meno-marxiste (più o meno nel senso che il lessico e le categorie usate lo sono, ma lo spirito non è dogmatico).
Nel suo insieme il convegno ha fornito una massa considerevole di elementi a conferma della tesi della tecnoburocrazia come nuova classe dominante.
[...] Certo siamo ancora lontani da quella sintesi, da quella ricomposizione complessiva della materia che ambiziosamente Ambrosoli presentava in apertura come finalità del convegno. Diversi aspetti del problema sono stati solo sfiorati, molte le realtà nazionali non analizzate... il lavoro di saldatura interdisciplinare appena iniziato. Forse anche perché, purtroppo, è stato proporzionalmente molto ridotto, per limiti oggettivi di tempo, l’apporto della discussione.
Ciononostante, il lavoro fatto è notevolissimo e testimonia della fecondità interpretativa della tesi dei nuovi padroni e anche della vivacità di quell’area culturale libertaria che si va ricostituendo e che in questo convegno ha trovato una delle sue manifestazioni più interessanti.
Secondo Nico Berti, lo studio sui nuovi padroni ha individuato la loro natura politica e sociale, ma nulla ci ha detto, né ci poteva dire, su chi sono i suoi antagonisti, dal momento che non esistono antagonisti specifici (speculari) della classe tecnoburocratica, se non individuandoli nella generale - e generica - area sociale ed economica comprendente tutti gli individui, i gruppi, i ceti, le categorie e le classi sottoposte al sistema dominante. Non si tratterebbe di una specifica impasse teorica e pratica dei GAF, ma della logica conclusione di tutta la loro impostazione concettuale e ideologica risalente a “Materialismo e Libertà”, impostazione riassumibile nel cosciente rifiuto di una concezione dialettica della rivoluzione perché non esiste - né si vuole comunque individuarlo - un soggetto sociale specifico per la trasformazione radicale della società. Questo rifiuto, del resto, era stato rivendicato indirettamente anche nel documento da loro prodotto per dar conto dello scioglimento della federazione. Riconoscevano infatti come insufficienti le analisi sui “nuovi padroni” perché, per «potersi trasformare da teoria in intervento», esse dovevano essere completate da studi «altrettanto approfonditi sui “nuovi sfruttati”». Di qui la necessità di elaborare una serie di strategie operative diverse e diversificate in una realtà per molti aspetti nuova e complessa, onde poter lavorare «su una somma di elementi di conoscenza diretta la più ampia possibile».
I nuovi padroni
Noi studiamo i nuovi padroni (scientificamente, sì, se questo significa con rigore e sistematicità) non perché essi sono semplicemente un interessante fenomeno sociale, ma perché essi sono nostri nemici, nostri e di quanti, come noi, lottano per una società che abbia i suoi cardini nell’uguaglianza e nella solidarietà, non nel potere.
Roberto Ambrosoli
I nuovi padroni
atti del Convegno internazionale di studi su i nuovi padroni, Venezia 1978
Edizioni Antistato, Milano 1978
Dalla presentazione di Amedeo Bertolo:
[fonte: G. Berti, Contro la storia. Cinquant'anni di anarchismo in Italia (1962-2012), Biblion Edizioni, Milano 2016]
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