La teoria e la pratica anarchica non hanno senso se non sono rivoluzionarie. Ma la contrapposizione, in campo anarchico, tra atti rivoluzionari e atti riformisti contiene un grosso equivoco di fondo: vengono considerati rivoluzionari gli atti violenti e riformisti quelli pacifici.
Tale suddivisione però, non tiene conto degli effetti prodotti da questi atti, mentre è necessario interrogarsi sulle modificazioni prodotte nel contesto sociale da una certa azione, sia essa violenta o pacifica.
Risulta quindi opportuno abbandonare la suddetta distinzione e assai più coerentemente valutare la capacità di trasformazione radicale che un insieme di atti, violenti e pacifici, possono produrre all'interno della società.
L'elemento importante è comprendere quale serie di azioni sia capace di superare "il livello di guardia" dell'attuale struttura sociale. Come cioè mettere in difficoltà il "sistema" per innescare un processo che contribuisca a sviluppare i fondamenti di una società libertaria.
Il problema attuale è come individuare un equilibrio tra la pratica rivoluzionaria e "riformista" per costruire giorno dopo giorno il cambiamento radicale.
Se non si arriva a questa visione generale l’anarchismo contemporaneo è destinato a rimanere un movimento di divulgazioni di idee senza una reale influenza sulla società, con in più le caratteristiche di una piccola setta.