In guerra con l'impero. Gli anarchici e il dibattito su guerra e violenza nel primo conflitto mondiale
di Kenyon Zimmer
Dopo che i membri del movimento Giovane Bosnia assassinarono l'erede asburgico – l'arciduca Francesco Ferdinando – a Sarajevo il 28 giugno 1914, il «New York Times» andò a chiedere il parere dell'anarchico Alexander Berkman sull'omicidio. Berkman ipotizzò che la paternità dell’azione fossa da attribuire «[a]gli anarchici, ai rivoluzionari e alla forte fazione repubblicana» nei Balcani, una citazione che ispirò il titolo sensazionalista del giornale, Calls It Anarchist Plot (Lo definisce complotto anarchico)[1]. Il quotidiano anarchico italiano «L'Era nuova» di Paterson, New Jersey, dichiarava che «gli anarchici [...] non hanno paura di esprimere la loro completa solidarietà agli autori», ma osservava anche che l'assassinio «non ha avuto carattere anarchico. È stato di carattere nazionalista». Berkman in seguito chiarì che l'uomo che aveva sparato a Ferdinando, Gavrilo Princip, era in realtà un «patriota serbo che non aveva mai sentito parlare di anarchismo»[2]. Ma neppure questo era del tutto vero; il nazionalista Princip aveva letto opere dei pensatori anarchici Michail Bakunin e Pëtr Kropotkin, e uno dei co-cospiratori di Princip, Nedeljko Cabrinovic, era un anarchico dichiarato che il giorno stesso dell’assassino aveva lanciato una granata contro l'auto dell'arciduca[3]. Questa relazione ambigua tra anarchici anti-statalisti e movimenti di liberazione nazionale diverrà centrale nelle divergenze tra gli anarchici in America e nel mondo sull’opportuna linea da tenere durante la prima guerra mondiale, conflitto che l'assassinio di Sarajevo avrebbe messo inavvertitamente in moto. Tutte le parti del dibattito sulla guerra – quelle decisamente contrarie a qualsiasi tolleranza nei confronti del militarismo e quelle che sostenevano la vittoria degli Alleati o degli Imperi centrali – attingevano all’esperienza comune dell’anticolonialismo e ai dibattiti da essa scaturiti nel periodo dell’anteguerra.
La maggior parte degli scritti su anarchismo e guerra attribuiscono l'atteggiamento di Kropotkin e degli altri che sostenevano la causa Alleata a una peculiare «francofilia» e a un sentimento antitedesco, che risultavano completamente incoerenti con l’attivismo anarchico di tutta una vita. Eppure gli «anarchici a favore della guerra» non avevano tanto «dimenticato i loro princìpi» – come sosteneva notoriamente Errico Malatesta –, quanto sviluppato un'argomentazione antimperialista sul motivo per cui la sconfitta dell'Impero tedesco (o, in alcuni casi, russo o britannico) avesse la precedenza su tutto. I loro oppositori «neutralisti» rispondevano con critiche antimperialiste alle grandi potenze su entrambi i fronti della guerra e obiettavano al carattere sempre più statalista della liberazione nazionale e dell'internazionalismo promossi dai loro rivali. Entrambe le parti concordavano, tuttavia, che questa lotta riguardava gli imperi e come poterli abbattere.
L'anarchismo ha avuto una lunga relazione, e generalmente di sostegno, con i movimenti di indipendenza nazionale di tutto il mondo. Negli Stati Uniti, alcuni anarchici stringevano forti legami con indipendentisti cubani, repubblicani irlandesi, rivoluzionari indiani e territorialisti ebrei, entrando a far parte di una comunità transnazionale di attivisti anticoloniali. Sebbene credessero che il nazionalismo fosse una promessa vuota che non risolveva «la questione sociale», molti sostenevano attivamente le lotte antimperialiste e di liberazione nazionale, spesso nella speranza di spingere quelle lotte in una direzione più radicale, cercando, come ha notato Benedict Anderson, «il Graal di una “modalità” antinazionalista dell'antimperialismo»[4]. Non c'era consenso, tuttavia, su quali lotte meritassero sostegno o quali forme dovesse assumere tale sostegno. Come notano Steven Hirsch e Lucien van der Walt, gli anarchici svilupparono tre posizioni generali nei confronti dei movimenti nazionalisti: rifiuto totale, «un progetto di impegno critico e radicalizzazione» e sostegno acritico[5]. Allo scoppio della prima guerra mondiale, i sostenitori di quest’ultima posizione si rivelarono disposti a offrire un sostegno altrettanto acritico a una parte dei belligeranti come all'altra.
Nessuna figura anarchica internazionale era così strettamente associata a queste posizioni, o così influente tra i circoli anarchici americani dell’anteguerra, come Pëtr Kropotkin. Per decenni, Kropotkin aveva sostenuto che i movimenti di indipendenza nazionale meritassero ovunque il sostegno anarchico. Scrivendo nel 1885 per la rivista britannica «The Nineteenth Century», riconosceva che «i problemi nazionali non coincidono con i "problemi del popolo" [...] l'acquisizione dell'indipendenza politica lascia irrisolta la questione dell'indipendenza economica delle classi lavoratrici e produttrici di ricchezza». Ma proseguiva sostenendo che «entrambi questi problemi sono così strettamente connessi l'uno con l'altro che siamo costretti a riconoscere che non si può ottenere alcun serio progresso economico, né è possibile alcuno sviluppo in senso progressista, fino a quando le aspirazioni per l'autonomia – non più sopite – troveranno soddisfazione»[6]. In altre parole, la rivoluzione sociale resta impossibile finché le aspirazioni nazionali non sono soddisfatte, rendendo l'indipendenza nazionale una condizione necessaria ma non sufficiente per realizzare l’idea anarchica tra le popolazioni colonizzate. Altrove, tuttavia, Kropotkin suggeriva che gli anarchici potrebbero introdurre direttamente ideali rivoluzionari nei movimenti di liberazione nazionale. In una lettera del 1897 all'anarchica ebrea russa Marie Goldsmith, rifletteva:
Mi sembra che il «carattere puramente nazionalista» dei movimenti nazionali sia una finzione. Ci sono ovunque le premesse economiche, o qualche base per la libertà e il rispetto per l'individuo [...] in ogni movimento nazionalista dovremmo sollevare le questioni del popolo accanto a quelle nazionaliste. Ma per farlo, dobbiamo avere un punto d'appoggio nei movimenti nazionali.
Kropotkin quindi vacillava tra il sostegno indiscriminato e l'impegno radicalizzante, ma in entrambi i casi immaginava per gli anarchici un ruolo attivo nelle lotte nazionaliste (sebbene facesse eccezioni, come per la rivolta cretese del 1897 contro il dominio ottomano, che secondo Kropotkin era stata «plasmata dall'alto, dallo Stato [greco]»)[7]. Questo impegno non era meramente tattico. Kropotkin, come la maggior parte degli anarchici, era sostenitore di un cosmopolitismo radicale che considerava la diversità culturale e razziale un bene positivo[8]. Egli esaltava il «patriottismo» delle minoranze nazionali che cercavano l'indipendenza dal dominio coloniale, e riteneva «del tutto plausibile che l'uomo diventi più internazionalista quanto più ama le individualità locali che compongono la famiglia internazionale, quanto più cerca di sviluppare tratti locali, individuali»[9].
Negli anni Novanta dell’Ottocento, le imprese imperiali di Italia, Spagna e Stati Uniti costrinsero gli anarchici in America a confrontarsi direttamente con queste considerazioni. I radicali nativi e immigrati erano recisamente contrari al colonialismo dei loro paesi di origine, così come al colonialismo in generale. Così, gli italiani che pubblicavano il giornale di Paterson «La Questione sociale», dichiararono nel 1896 «noi, noi stessi, diamo solidarietà assoluta agli oppressi d'Italia, a quelli dell'Abissinia [che l'Italia aveva invaso l'anno precedente], dell'Armenia, come ai gloriosi insorti di Cuba e ai forti e coraggiosi esuli della lontana Siberia», perché «noi, senza distinzione di colore, razza, lingua [o] costume, condividiamo l'affetto e l'adorazione per tutti gli oppressi dell'umanità»[10]. La guerra d'indipendenza cubana, organizzata da radicali emigrati negli Stati Uniti e avvenuta a meno di cento miglia dalla costa della Florida, fornì agli anarchici l'opportunità di combattere l'imperialismo con qualcosa di più dei proclami. Anarchici immigrati italiani, spagnoli e cubani si unirono in gran numero al movimento indipendentista e molti andarono a Cuba per imbracciare le armi[11].
«La Questione sociale» riconosceva che la rivolta non era «una rivolta anarchica», ma, come Kropotkin, vedeva l'indipendenza nazionale come un primo passo vitale verso una possibile rivoluzione anarchica, e sperava che gli anarchici che stavano dando «vita, sangue ed energia alla lotta... non saranno privi di influenza nella ricostruzione economica e politica dell'isola»[12]. Tuttavia, non mancarono critiche a questa posizione. Molti anarchici spagnoli, sebbene simpatizzanti per il movimento indipendentista, sollecitavano la «neutralità» anarchica per quella che consideravano una lotta di regime per sostituire la classe dirigente spagnola con una cubana. Negli Stati Uniti, l'anarchico catalano Pedro Esteve fu il sostenitore più accanito di questa posizione. Stranamente, anche lo stesso Kropotkin esortò alla neutralità[13]. L'intervento americano e l'inizio della guerra ispano-americana, inoltre, costrinsero la maggior parte degli anarchici partigiani dell'indipendenza cubana a ritirare il proprio sostegno, per timore di diventare lacchè dell'imperialismo statunitense. Gli anarchici americani denunciarono all'unanimità l'annessione statunitense di Cuba, Filippine, Hawaii e degli altri territori nei Caraibi e nel Pacifico. Emma Goldman ne era una critica particolarmente esplicita e collaborò anche con i filippini «impegnati in attività clandestine per garantire la libertà alle Isole Filippine»[14].
Più avanti, Goldman sosterrà anche i «coraggiosi e meravigliosamente audaci» coloni afrikaner della Repubblica del Transvaal e dell'Orange Free State nella loro lotta contro gli inglesi nella seconda guerra boera (1889-1902), una posizione che scambiava un conflitto tra colonialismi concorrenti per una lotta anticoloniale[15]. Kropotkin, al contrario, vedeva sia la guerra boera che la guerra russo-giapponese (1904-05) come conflitti interimperialisti che danneggiavano solo la classe lavoratrice e che non erano meritevoli di alcun sostegno dagli anarchici, per nessuna delle due parti[16]. Meno ambigue furono le lotte per l'indipendenza irlandese e indiana, che godettero di una diffusa simpatia anarchica. Anarchici americani ed europei collaborarono con membri di entrambi i movimenti su ogni aspetto, dalla produzione di pubblicazioni alla costruzione di esplosivi[17]. Tuttavia, come notava Alexander Berkman, la lotta in Irlanda era
di carattere nazionalista. Esige «l'indipendenza nazionale», che non è affatto sinonimo di libertà del popolo, individualmente o collettivamente. L'indipendenza nazionale per l'Irlanda, come per qualsiasi altro popolo, significa semplicemente sostituire i «propri» padroni con quelli che vengono imposti [...] il popolo irlandese deve imparare prima o poi [...] che l'indipendenza nazionale non è una cura per la schiavitù agricola e industriale, ma che la salvezza del popolo irlandese si trova solo nel fare causa comune con i diseredati di tutti gli altri paesi, nella rivoluzione sociale[18].
Berkman faceva eco alla logica di Kropotkin: la liberazione nazionale non è intrinsecamente radicale, ma può essere necessario doverla soddisfare prima che le nazionalità oppresse «imparino» la necessità di forme più radicali di emancipazione.
I rivoluzionari indiani negli Stati Uniti, nel frattempo, tentarono di fondere anarchismo e sindacalismo nella loro lotta per la liberazione nazionale. L'intellettuale indù e antimperialista Har Dayal arrivò a Berkeley nel 1911 e si ritrovò presto strettamente coinvolto nei circoli anarchici della Bay Area. Fu tra i fondatori del multietnico International Radical Club, del gruppo anarchico Fraternity of the Red Flag e del Bakunin Institute, un «centro di formazione» anarchico che pubblicava una propria testata in lingua inglese, «Land and Liberty». Divenne anche la figura centrale all'interno della Pacific Coast Hindi Association, che successivamente divenne il Ghadar Party, il quale prendeva il nome dalla propria pubblicazione in lingua urdu, «Ghadar» (Ammutinamento), diretta da Har Dayal a San Francisco. «Ghadar», che presto raggiunse una tiratura internazionale di 25.000 copie, attingeva a «un'ampia gamma di idee di movimenti nazionalisti, rivoluzionari e anarchici per formulare la sua opposizione al dominio britannico»[19]. Tuttavia, Har Dayal venne arrestato nel marzo 1914 per aver violato l’Anarchist Exclusion Act, e approfittò della libertà su cauzione per fuggire in Europa. «Land and Liberty» venne lasciato nelle mani del suo redattore responsabile, l'anarchico inglese di origine indiana William C. Owen.
Radicale veterano della California, Owen era un ardente sostenitore sia dell'indipendenza indiana sia del Partido Liberal Mexicano (PLM) del Messico, di ispirazione anarchica, e curava la pagina in lingua inglese del giornale del PLM, «Regeneración»[20]. Su «Land and Liberty» proclamò un’inequivocabile adesione all’anti-colonialismo: «Ovunque gli uomini o le donne combattano per la libertà troveranno in noi un baluardo, che la battaglia sia in Messico o negli Stati Uniti, in Europa o in Oriente». Giustificava questa posizione attraverso un'analogia tra individui e nazioni, sostenendo che «l'imminente lotta in Messico, Irlanda, Egitto, India, ovunque [...] si basa sulla dottrina anarchica secondo cui l'individuo ha diritto alla proprietà di se stessi. Poiché gli anarchici si aggrappano a questo come loro principio fondamentale, simpatizzano e fanno del loro meglio per assistere i movimenti nazionali di rivolta in tutto il mondo»[21]. Questa peculiare elisione tra diritti individuali e nazionali avrebbe plasmato anche la posizione di Owen sulla prima guerra mondiale.
Negli anni precedenti la guerra, un dibattito sul nazionalismo di natura molto diversa destava preoccupazione in parecchi anarchici ebrei. Il settimanale «Fraye Arbeter Shtime» di New York era l'organo principale del movimento anarchico transnazionale di lingua yiddish, e il sanguinoso pogrom di Kishinev del 1903 suscitò un’accesa polemica sulle sue pagine. Il riaccendersi dell'antisemitismo europeo convinse un piccolo numero di anarchici che la sopravvivenza stessa degli ebrei d'Europa richiedeva la formazione di un territorio ebraico autonomo. Il principale portavoce di questa posizione fu l’anarchico di lunga data Hillel Solotaroff, che presentò le sue argomentazioni in una serie di articoli per il «Fraye Arbeter Shtime» e altre pubblicazioni yiddish. Solotaroff credeva «non nel nazionalismo religioso, né nel nazionalismo politico-culturale», ma piuttosto nel diritto degli ebrei di organizzarsi come nazione per difendersi.
Invece di sostenere la creazione di uno stato-nazione ebraico in Palestina, quindi, immaginava una federazione di «libere comuni» – alcune ebraiche, alcune arabe e alcune miste – organizzate secondo il principio della libera associazione[22]. Solotaroff e i suoi compagni «anarco-nazionalisti» fecero causa comune con l'emissario del Partito Socialista Rivoluzionario Chaim Zhitlowsky, che arrivò negli Stati Uniti nel 1904 e promosse la creazione di un territorio ebraico socialista radicato nella secolare cultura yiddish[23]. Tuttavia, Saul Yanovsky, direttore del «Fraye Arbeter Shtime» e la maggioranza degli ebrei anarchici considerarono «eretiche» queste idee, poiché vedevano in esse un malcelato programma per la fondazione di uno stato ebraico, che come anarchici non potevano sostenere.
Nel 1907, Pëtr Kropotkin intervenne nella questione con due articoli sul suo giornale in lingua russa «Listki ‘Khleb i Volia’» di Londra, in risposta alla lettera di un sostenitore anarchico del sionismo. Ancora una volta sosteneva che i movimenti nazionalisti dei «popoli oppressi», erano giustificati e progressisti, ma credeva che il sionismo fosse un movimento poco opportuno che, se anche avesse avuto successo, si sarebbe tradotto in uno stato teocratico; gli ebrei avrebbero dovuto invece concentrarsi sulla lotta per l'autonomia «qui ed ora», ovunque risiedessero[24]. Nel 1909, su invito di Saul Yanovsky, Kropotkin ripeté queste argomentazioni nel «Fraye Arbeter Shtime»[25]. Tornò nuovamente sul tema del nazionalismo ebraico nel 1913, nella prefazione all'edizione in yiddish del suo libro Il mutuo appoggio, pubblicato a New York. (Il suo traduttore, l'anarchico J.A. Maryson, era egli stesso un sostenitore del territorialismo ebraico).
Affermando ancora una volta che la varietà culturale e linguistica era parte integrante dell'umanità, Kropotkin applaudiva la traduzione della sua opera e dichiarava che la preservazione delle lingue – e quindi delle nazionalità che le parlavano – era «il modo più sicuro per arricchire il nostro patrimonio comune con tutti questi tratti nazionali, che hanno un valore speciale per l'intuizione filosofica, la poesia e l'arte». Tuttavia, era preoccupato dal fatto che «[a]l momento attuale le idee di centralizzazione e di stati centralizzati siano talmente in voga» da far ritenere a molte persone che «le piccole nazionalità non hanno motivo di esistere» e sarebbero state inevitabilmente assorbite da «le più grandi nazioni, dimenticando rapidamente le loro lingue madri»[26]. La protezione delle «piccole nazionalità» dagli stati militaristici sarebbe stata in seguito uno degli argomenti centrali di Kropotkin a sostegno degli Alleati.
Mentre la guerra si diffondeva in tutta Europa nella seconda metà del 1914, la maggior parte degli anarchici negli Stati Uniti riaffermava i propri principi antimilitaristi. La «Internationale Arbeiter-Chronik» – ultimo ed effimero baluardo di ciò che restava del movimento anarchico tedesco, un tempo consistente, d'America – condannò fermamente il militarismo tedesco e dichiarò «guerra alle guerre»[27].
In settembre, una coalizione di anarchici di San Francisco stampò 2.000 copie di «The Social Revolution», un «grande e ben illustrato giornale di quattro pagine» che pubblicava articoli contro la guerra in inglese, italiano, francese e tedesco con il motto «Se dobbiamo combattere, combattiamo per la rivoluzione sociale»[28]. Un mese dopo, tuttavia, la Lettera a Steffen di Kropotkin apparve sul londinese «Freedom», rendendo pubblico il suo stridente sostegno allo sforzo bellico Alleato e seminando confusione da una sponda all’altra dell'Atlantico. Emma Goldman in seguito definirà questa posizione come «un duro colpo per il nostro movimento»[29].
Kropotkin era affascinato dalla tradizione rivoluzionaria francese e credeva che una vittoria tedesca avrebbe danneggiato irreparabilmente il progresso europeo verso la rivoluzione sociale, progresso che – secondo lui – era avanzato maggiormente in quella Francia ora in pericolo. Ma radicava la sua posizione anche nella difesa dell'indipendenza nazionale[30]. Se la sottomissione delle nazionalità dell'Europa centrale e occidentale da parte dei tedeschi poteva essere impedita solo dalla sconfitta militare della Germania, sosteneva, allora gli anarchici avrebbero dovuto necessariamente sostenere le forze Alleate. Immaginando le conseguenze di una vittoria tedesca, vedeva «tutte le colonie francesi – Marocco, Algeria, Tonchino – prese dalla Germania [...] Polonia – costrette ad abbandonare definitivamente ogni sogno di indipendenza nazionale». Dopo l’auspicata sconfitta della Germania, invece, «ci sarà il tempo di combattere l'imperialismo russo così come tutta l'Europa amante della libertà è in questo momento pronta a combattere quel vile spirito belligerante che si è impossessato della Germania». Kropotkin faceva dunque appello a «tutti coloro che nutrono gli ideali del progresso umano, affinché facciano tutto ciò che è in loro potere, secondo le proprie capacità, per schiacciare l'invasione dei tedeschi nell'Europa occidentale [...] L'invasione tedesca deve essere respinta – non importa quanto ciò possa essere difficile»[31].
Il «Fraye Arbeter Shtime» è stato il primo giornale americano a ripubblicare questa lettera, con il titolo «La chiara posizione del compagno Kropotkin sulla guerra». Emma Goldman e Alexander Berkman restarono molto sorpresi dalla lettura di questa versione yiddish del documento, e ne ristamparono il testo originale inglese su «Mother Earth», accompagnandolo con un'ampia critica di Berkman, nella quale accusava Kropotkin di essere «caduto vittima della psicologia di guerra ora dominante in Europa». A proposito dell'alleanza tra la Francia e l'Impero russo, Berkman dichiarò: «Il militarismo prussiano non è una minaccia maggiore per la vita e la libertà dell'autocrazia zarista. Nessuno dei due può essere distrutto dall'altro. Entrambi devono essere e saranno distrutti solo dal potere sociale rivoluzionario del proletariato internazionale unito»[32]. Goldman, esprimendo quella che sarebbe diventata una comune replica alla posizione «difensista», capovolse l'accusa che la neutralità si traducesse in sostegno alla Germania, affermando che le «emozioni di Kropotkin per la Francia lo portano a sostenere i progetti dello zarismo»[33].
«Mother Earth» e altri giornali anarchici americani diedero ampio spazio alla confutazione delle posizioni di Kropotkin fatta da Errico Malatesta, originariamente pubblicata su «Freedom». «Kropotkin», osservava Malatesta, «rinuncia all'antimilitarismo perché pensa che la questione nazionale debba essere risolta prima della questione sociale». Tuttavia, proseguiva l’illustre anarchico italiano, l'indipendenza nazionale non poteva essere risolta sostenendo la potenza imperiale di Francia, Gran Bretagna e Russia.
Non ho alcuna fiducia nel sanguinario Zar, né nei diplomatici inglesi che opprimono l'India, che tradirono la Persia, che schiacciarono le Repubbliche boere, né nella borghesia francese, che massacrò gli indigeni del Marocco; né in quella del Belgio, che ha permesso le atrocità del Congo e ne ha ampiamente tratto profitto.
«Le piccole nazionalità», invece, troveranno
una soluzione vera e definitiva solo quando, distrutti gli Stati, ogni gruppo umano, anzi, ogni individuo, avrà il diritto di associarsi e separarsi da ogni altro gruppo ... Ammetto, quindi, che ci sono guerre che sono necessarie, guerre sante: e queste sono le guerre di liberazione, come lo sono generalmente le «guerre civili» – ad esempio, le rivoluzioni[34].
La stampa anarchica di lingua spagnola e italiana ha sollevato simili critiche. Dal suo foglio «Cultura obrera», Pedro Esteve pubblicò una «lettera aperta» a Kropotkin che presentava diverse obiezioni. Se gli anarchici fossero eticamente costretti ad aiutare la resistenza alle invasioni, chiese: «come si fa a sapere chi sono veramente gli invasori? Gli invasori, in questo caso, sono coloro che attraversano i propri confini ed entrano in un altro paese», condizione che descriveva i partecipanti su entrambi i fronti della guerra. Inoltre, sosteneva Esteve, «l'attuale guerra non può nemmeno essere definita una “guerra di invasione” nel senso comune del termine», perché era in realtà una lotta tra due potenti alleanze imperiali che gareggiavano per il predominio. Che dire dei «contadini africani» che vivevano sotto il dominio britannico, francese e belga? Infine, se la Francia deve essere difesa perché più progressista della Germania, «la Russia è considerata molto meno liberale della Germania e quindi dovremmo schierarci con quest'ultima»[35].
Da Londra, Kropotkin rispondeva sia sulle pagine di «Cultura obrera» sia su «L'Era nuova». Insisteva: «Odio il giogo russo sulla Polonia, sulla Finlandia e sul Caucaso», ma «non posso rimanere uno spettatore inerme mentre i tedeschi – l'impero tedesco – tentano di soffocare i focolai della rivoluzione rappresentati dalla Francia e dai paesi latini». «Il mio punto di vista», proseguiva,
è che il dovere di ogni sincero internazionalista sia stato quello di impedire con tutta la forza possibile la conquista del Marocco da parte della Francia, di Tripoli da parte dei russi e degli inglesi, e ora sia di impedire, ancora di più, la conquista di Belgio – quel valoroso paese che ha saputo difendere così bene la propria indipendenza – e della Francia. Dire che non fa alcuna differenza per il contadino o per l'operaio essere sotto il giogo di un governo francese o tedesco, belga o prussiano, o turco o bulgaro, è un'assurdità che non ho mai permesso venisse detta ai lavoratori[36].
Esteve rispose a sua volta «che Kropotkin, ossessionato dal suo amore per la tradizione rivoluzionaria della Francia, ha dimenticato i principi dell'anarchismo». Sottolineava nuovamente come la guerra coinvolgesse imperi predatori da entrambe le parti. «Non discuterò se la Francia sia più o meno liberale, più o meno centralizzata, più o meno civile della Germania... Ma chi può credere che in questa guerra sia coinvolto un principio di libertà, di decentramento o di antimilitarismo? Che interesse può avere la Russia [...] o il Giappone nella difesa della “libertà” francese?». I contadini sono stati oppressi e uccisi «non solo in Belgio, ma anche nella Prussia orientale, in Galizia e in Polonia, ovunque gli stivali di un soldato calpestino una creatura umana». Invocando l'esempio di Cuba, Esteve insisteva sul fatto che «l'indipendenza nazionale è un problema puramente borghese», poiché con il suo conseguimento «la borghesia aprirà a sé tutte le vie amministrative e governative; mentre gli operai verranno sfruttati allo stesso modo»[37].
A Kropotkin risposte anche il direttore de «L'Era nuova», il poliglotta sloveno Franz Widmar. Widmar criticava «il principio di nazionalità, la cosiddetta indipendenza nazionale di uno Stato dall'altro, nell'errata presunzione che la separazione segnata dai confini, come sono oggi, sia frutto della volontà dei singoli popoli», piuttosto che di «secolari contese, più o meno cruente, che quelle bande piratesche chiamate dinastie hanno sempre avuto tra loro per imporre il proprio dominio e sfruttamento al popolo». La violazione di questi confini artificiali e arbitrari non rappresentava la violazione dell'indipendenza delle nazionalità, perché la creazione di quei confini le aveva già poste sotto il dominio del governo. Gli stessi scritti di Kropotkin dell’anteguerra, osservava Widmar, sostenevano che le guerre venivano combattute tra «i vari gruppi capitalisti» per acquisire «nuovi territori e nuove popolazioni», non per il «principio superiore del diritto, della razza, [o] della nazionalità»[38]. L'anarchico di Paterson Pietro Baldisserotto accusava coloro che sostenevano gli Alleati in nome della lotta all'aggressione straniera di aver «dimenticato l'ABC della lotta di classe, hanno confuso guerre di conquista, guerre di difesa, patriottismo, [e] difesa dell'indipendenza e delle istituzioni nazionali, con la tenace lotta contro lo Stato e i suoi puntelli»[39]. Come riassunse un altro redattore de «L'Era nuova», «Odiamo ugualmente la tirannia russa e l'arroganza teutonica, l'oppressione austriaca e la slealtà inglese, la ferocia repubblicana del capitalismo francese tanto quanto quella di qualsiasi monarchia costituzionale o assoluta»[40].
Molte di queste obiezioni furono incorporate nell’International Anarchist Manifesto on the War (Manifesto internazionale anarchico contro la guerra), pubblicato a Londra nel febbraio 1915. Questo documento dichiarava che «Il compito degli anarchici nella presente tragedia, qualunque possa essere il luogo o la situazione in cui si trovino, è di continuare a proclamare che c'è una sola guerra di liberazione: quella che in ogni paese è condotta dagli oppressi contro gli oppressori, dagli sfruttati contro gli sfruttatori», con l'obiettivo di «indebolire e disgregare i vari Stati», ove possibile[41]. Il Manifesto fu pubblicato in tutte le principali testate anarchiche americane e distribuito anche sotto forma di volantino di quattro pagine. Otto dei suoi trentasei firmatari, inoltre, vivevano negli Stati Uniti: i direttori di giornale americani Leonard D. Abbott e Harry Kelly, gli anarchici ebrei Alexander Berkman, Joseph J. Cohen, Emma Goldman e Saul Yanovsky, Hippolyte Havel, anarchico di origine ceca, e William Shatoff, una figura di spicco all'interno dell'Unione anarco-sindacalista dei lavoratori russi degli Stati Uniti e del Canada.
Eppure, essi non rappresentavano un fronte unito. L'inclusione di Harry Kelly è particolarmente peculiare, poiché egli era in effetti d'accordo con Kropotkin sulla guerra e credeva che ogni nazione avesse il «dovere di respingere l'invasore»[42]. Sembra che abbia firmato il manifesto contro la guerra nonostante le sue opinioni personali, e in seguito ricorderà che la sua posizione era talmente impopolare che «se il movimento anarchico fosse stato come quelli organizzati, probabilmente ne sarei stato espulso»[43]. Anche Yanovsky finirà per trovarsi d'accordo con Kropotkin, prima della fine della guerra. Scrivendo al giornale anarchico londinese di Guy Aldred «The Spur» nell'ottobre 1915, Goldman si lamentò del fatto che negli Stati Uniti, «tranne che in pochi casi, tutti gli anarchici stanno litigando in merito alla posizione di Kropotkin, se abbia torto o ragione»[44].
Il giornale anarchico ceco di New York «Volnè listy», che nel 1910 aveva una rispettabile tiratura di 4.500 copie, fornì una piattaforma a Kropotkin e ai suoi sostenitori. Il movimento anarchico ceco era impegnato in un programma di indipendenza nazionale (antistatalista) e molti dei suoi componenti americani sostenevano gli Alleati contro l'impero austro-ungarico. Il convinto antimilitarista Hippolyte Havel deplorava che gli articoli a favore della guerra del giornale non consistessero in nient'altro che nel «solito appello per le piccole nazionalità, una nuova perniciosa teoria introdotta di soppiatto nel movimento anarchico» – sebbene, come notato sopra, non vi fosse nulla di nuovo nella posizione di Kropotkin sull'indipendenza nazionale[45]. Lo scultore Adolf Wolff, esponente di spicco del Francisco Ferrer Center di New York, si indignò per l'invasione del suo nativo Belgio e sostenne con forza gli Alleati e l'entrata in guerra dell'America, arrivando a dichiarare che Emma Goldman doveva essere «impiccata al lampione più vicino» per il suo attivismo contro la guerra[46].
Il più accanito sostenitore di Kropotkin negli Stati Uniti fu William C. Owen, che utilizzò la doppia piattaforma di direttore sia di «Land and Liberty» sia della pagina inglese di «Regeneración» per sollecitare il sostegno anarchico alla difesa di Francia e Belgio. Come anarchico, scriveva, «intellettualmente e spiritualmente sono il nemico dell'invasore, e qualunque sia la sua nazionalità, farei del mio meglio per espellerlo [...] perché vedo in lui il nemico universale, che spoglia gli uomini dei loro diritti, li piega sotto il giogo, li riduce all'impotenza». Owen continuava equiparando l'invasione di un paese all'oppressione degli individui, tralasciando le divisioni che si muovevano all'interno degli stati nazionali e lungo i loro confini artificiali. «Attacchiamo il capitalismo, il monopolio, il militarismo e altri mali», spiegava, «proprio perché invadono l'individuo e lo derubano di ciò a cui ha diritto». I commenti di Owen erano anche intrisi di una certa quantità di «virilità marziale»; «la resistenza all'invasione» era «il dovere più imponente dell'uomo», insisteva, e «tra invasore e invaso, nessun uomo onesto può essere giustificato a rimanere neutrale. In tutte le epoche e in tutti i luoghi, gli invasi si sono sentiti chiamati a resistere, solo i codardi non l’hanno fatto»[47]. Come Kropotkin, anche Owen accusò gli anarchici contrari alla guerra di complicità con il Kaiser, tuonando che «la Germania non ha sostenitori più indefessi di molti dei nostri aspiranti leader anarchici!»[48]. Opportunisticamente, non faceva cenno alle collusioni tra il movimento Ghadar, di cui era un forte sostenitore, e il governo tedesco (argomento su cui torneremo in seguito).
A differenza di Kropotkin, Owen non cercava di giustificare la sua posizione in nome dell'internazionalismo; piuttosto, dichiarava
Mi sembra assurdo parlare in questo frangente di internazionalismo, perché l'invasione militare rende impossibile la pratica dell'internazionalismo [...] Per quanto grandi siano i torti subiti dall'operaio, non è vero che, come classe, non ha né casa né patria. Non è vero che non ha altro da perdere se non le proprie catene. Non è vero che per lui non fa differenza vivere sotto il dominio militare prussiano, come abitante di un paese annesso e conquistato, o come cittadino di una terra che ha saputo difendersi[49].
Difendeva persino il crescente movimento della «preparedness» in America, nonostante la sua stessa previsione che se gli Stati Uniti fossero entrati in guerra, «il cittadino comune si ritroverà incatenato, anima e corpo e calzoni, da quello che è sicuramente il più spietato di tutti i dispotismi». La colpa di un tale risultato, tuttavia, sarebbe ricaduta ancora una volta interamente sulla Germania, che «stava imponendo la maledizione del militarismo su tutto il mondo [...] Se il militarismo deve [essere] il gioco universale, non possiamo starne fuori». Ma Owen trovò scarso supporto per le sue opinioni. I critici, inclusi molti ex amici, lo tacciarono di odiare la Germania in virtù della sua origine britannica e lo accusarono persino di essere «una spia inglese»[50]. «Land and Liberty» chiuse i battenti nel luglio 1915 e, sebbene Owen continuasse a esprimere le sue opinioni su «Regeneración», Ricardo Flores Magón e altri leader del PLM rimasero in silenzio sulla questione. Nel febbraio 1916, Owen fu incriminato per aver inviato per posta materiale «sedizioso» sulla rivoluzione messicana e si diede alla macchia. Continuò nominalmente a figurare come redattore della sezione inglese di «Regeneración» fino a novembre, quando fuggì in Inghilterra[51]. Ironia della sorte, una volta a Londra, Owen si unì al gruppo di «Freedom», che si opponeva strenuamente alla posizione di Kropotkin sulla guerra. «Regeneración» nel frattempo cessò di stampare articoli a favore della guerra e quando gli Stati Uniti entrarono infine nel conflitto, Ricardo Flores Magón affermò che «non importa quale parte sia vittoriosa, il popolo continuerà a subire le stesse ingiustizie»[52].
Anche in Italia, un pugno di anarchici avviò una campagna perché l'Italia si unisse alla guerra contro gli Imperi Centrali. L'anarcosindacalista Maria Rygier sosteneva l'intervento in nome della solidarietà internazionale con i «popoli latini» di Francia e Belgio e, come Kropotkin, affermava che la neutralità è un tradimento dell'internazionalismo, pur sostenendo di opporsi al «patriottismo reazionario e all'imperialismo»[53]. L'altro leader interventista, l'anarchico individualista Massimo Rocca (che scriveva sotto il nome di Libero Tancredi), formulò una giustificazione ben diversa. Mentre viveva negli Stati Uniti, dal 1908 al 1911, Rocca si convinse che il disprezzo delle altre nazioni per l'Italia e gli emigrati italiani fosse una barriera all'internazionalismo che poteva essere superata solo attraverso la rigenerazione dell'Italia e della sua classe operaia attraverso la gloria della guerra e l'espansione – cioè, diventando una rispettabile potenza imperiale. Sostenne quindi l'invasione italiana della Libia nel 1911 e dopo la guerra si unì al movimento fascista di Benito Mussolini[54]. Eppure, l'interventismo non ottenne mai un significativo seguito tra gli anarchici né in Italia né negli Stati Uniti, e venne aspramente condannato dalla stampa anarchica italoamericana. Domenico Trombetta, membro di un gruppo giovanile anarchico di New York e collaboratore occasionale del giornale «Cronaca sovversiva» di Luigi Galleani, fu uno dei pochi italoamericani che ruppe con l'anarchismo per sostenere l'intervento bellico. Trombetta partecipò alla breve esperienza del giornale interventista del sindacalista Edmondo Rossoni, «L'Italia nostra», e come Rocca e Rossoni divenne fascista dopo la guerra, finendo a dirigere a New York il settimanale, notoriamente antisemita, «Il Grido della Stirpe»[55]. L'interventismo in tempo di guerra, osserva Stefano Luconi, funzionò come «una sorta di “centro di raccolta” sulla strada verso il fascismo per i radicali che non si riconoscevano più in un’empatia con la classe operaia che andasse al di là di qualsiasi confine etnico» – una dura conferma dei timori anarchici sui pericoli insiti nel militarismo e nel nazionalismo[56].
Al contrario, «Cronaca sovversiva» di Galleani, rifacendosi al passato da disillusi repubblicani di molti anarchici italiani, additava l'Italia stessa come un esempio di fallimento del «principio di nazionalità». L'unificazione nazionale e la liberazione dall'Austria-Ungheria e da altri aspiranti governanti non avevano certo avviato la penisola verso un corso progressista[57]. Invece, l'Italia aveva assunto il ruolo di potenza coloniale con l’invasione della Libia, dimostrando, come sottolineava «L'Era nuova», che «gli Stati-nazione, nati ieri, non esitano, infatti, a negare il principio di nazionalità che ha presieduto la loro formazione per seguire una politica di conquista. Il rispetto di tutte le nazionalità non può dunque trionfare, se non grazie alla dissoluzione di tutti gli Stati»[58]. L'ampio impiego di truppe coloniali da parte di Gran Bretagna e Francia compromise ulteriormente le argomentazioni di Kropotkin e dei suoi sostenitori, e gli anarchici italoamericani celebrarono l'ammutinamento, avvenuto nel 1915, dei soldati indiani contro i loro comandanti britannici a Singapore[59].
L'ammutinamento di Singapore, tuttavia, fu istigato dal movimento Ghadar, che stava lavorando mano nella mano con la Germania imperiale. Questa alleanza era reciprocamente conveniente; gli indiani speravano che una vittoria tedesca avrebbe allentato la presa della Gran Bretagna sulla loro patria, e il governo tedesco era felice di contribuire a ingenerare disordini all'interno delle colonie del proprio nemico. Har Dayal e altri leader di Ghadar si recarono in Germania e formarono il Comitato Berlino India per coordinare questi sforzi[60]. Nell'ottobre 1915, Har Dayal scrisse ad Alexander Berkman, chiedendogli: «Puoi inviare alcuni compagni, uomini e donne, seri e sinceri, per aiutare il nostro partito rivoluzionario indiano in questo frangente? [...] Dovrebbero essere veri combattenti, wobblies o anarchici». Chiedeva inoltre i nomi e gli indirizzi di eminenti anarchici europei e osservava che la guerra aveva creato «una grande opportunità per il nostro partito». Sebbene Berkman non si fosse prestato a reclutare volontari per conto dell'alleanza indo-tedesca, la scoperta delle lettere di Har Dayal da parte delle autorità statunitensi nel 1918 ispirò un fuorviante titolo del «New York Times», Berkman in Ring of German Spies (Berkman nella rete di spionaggio tedesca)[61]. Lo stesso anno, otto membri di Ghadar furono condannati nei sensazionalistici processi della «Cospirazione indù» a San Francisco, essendo stati giudicati colpevoli di aver lavorato con un agente tedesco che aveva tentato, senza successo, di inviare munizioni dagli Stati Uniti ai rivoluzionari indiani nel 1915[62]. Migliaia di indiani dagli Stati Uniti e da altrove, tuttavia, risposero alla chiamata del movimento Ghadar per tornare in India e lavorare a una rivolta panindiana, dando vita a una serie di sollevazioni fallimentari durante la guerra[63].
Il movimento di lingua yiddish era il segmento più combattuto dell'anarchismo americano sulla questione della guerra. Fino al 1917, gli anarchici ebrei, così come gli ebrei americani in generale, non sostenevano gli Alleati, poiché farlo avrebbe significato, nelle parole di Saul Yanovsky, sostenere il «dispotismo russo»[64]. Come direttore del «Fraye Arbeter Shtime», Yanovsky sostenne una posizione rigorosamente neutrale, ma mantenne per il giornale una linea aperta verso una gamma di opinioni divergenti e continuò a pubblicare traduzioni degli scritti di Kropotkin sulla guerra. Alcuni dei compagni di Yanovsky dichiararono di sperare in una vittoria tedesca sulla Russia, sostenendo che «per quanto terribile possa essere il militarismo tedesco, gli ebrei di Russia trarrebbero profitto politicamente, economicamente e soprattutto spiritualmente» dalla sconfitta dello zar, evento che avrebbe potuto alleviare l'oppressione degli ebrei e delle altre minoranze nell'impero russo. Il sostenitore più in vista di questa posizione era Michael A. Cohn, militante di lungo corso del movimento anarchico yiddish di New York[65].
Il rifugiato ebreo russo Maksim Raevsky, direttore del giornale dell'Unione dei lavoratori russi «Golos Truda», era stato a lungo discepolo di Kropotkin e diede nel «Fraye Arbeter Shtime» un’interpretazione favorevole, se pure critica, delle argomentazioni di Kropotkin. Il suo saggio in due parti, The National Question and Anarchism (Anarchismo e questione nazionale), apparve nella primavera del 1915. Raevsky riassumeva i concetti fondamentali degli scritti di Kropotkin del 1907 e del 1909, che considerava gli unici contributi anarchici ponderati sull'argomento. A differenza di quei critici che accusavano Kropotkin di aver abbandonato l'anarchismo, Raevsky notò giustamente che la posizione di Kropotkin sulla guerra era saldamente fondata sul «punto di vista rivoluzionario» a proposito della «questione nazionale» delineato nei suoi articoli più vecchi. Tuttavia, come Malatesta, Raevsky non era d'accordo con l’evidente insistenza di Kropotkin sul fatto che la liberazione nazionale dovesse precedere la rivoluzione sociale. Indicava esempi dei movimenti operai ebrei, polacchi e georgiani in Russia, che consideravano inscindibili la liberazione nazionale e la lotta di classe. Raevsky distingueva quindi tra «nazionalismo reazionario» – ovvero «patriottismo statalista, sciovinismo e militarismo» – e nazionalismo «progressista». Gli anarchici avrebbero dovuto sostenere quest’ultimo ma non il primo, concludeva, poiché «l'obiettivo degli internazionalisti non è la lotta nazionale, per quanto giusta possa essere, ma la rivoluzione sociale internazionale»[66]. Pertanto, non poteva unirsi a Kropotkin nel sostenere gli Alleati, e così l'Unione dei lavoratori russi, che contava 7.000 membri alla fine della guerra, denunciò il conflitto e affermò che il movimento americano della «preparedness» era una campagna guidata da «avidi padroni-capitalisti americani»[67].
L'ultimo sforzo di Kropotkin e dei suoi compagni «difensisti» per convincere gli anarchici arrivò con il Manifesto dei Sedici, pubblicato nel febbraio 1916. Stampato sul giornale francese «La Bataille», questo documento invocava nuovamente il principio di nazionalità, sostenendo che l'unica possibile via verso la pace era che la Germania riconoscesse «questo principio [...]: consentire o meno l’annessione di un territorio è diritto che spetta esclusivamente alla popolazione che vi abita», ma la Germania non lo avrebbe mai fatto, e «per questa ragione noi anarchici, noi antimilitaristi, noi nemici della guerra, noi sostenitori appassionati della pace e della fraternità fra i popoli, ci siamo schierati dalla parte della resistenza e non abbiamo ritenuto giusto separare il nostro destino da quello del resto della popolazione». I firmatari sostenevano:
non ci dimentichiamo di essere internazionalisti: vogliamo l’unione dei popoli, la cancellazione delle frontiere. Ed è proprio perché auspichiamo la riconciliazione fra tutti i popoli, compreso quello tedesco, pensiamo che si debba resistere a un aggressore che rappresenta l’annientamento di tutte le nostre speranze di liberazione[68].
Negli Stati Uniti non apparve alcuna traduzione in lingua inglese del documento, e l'unica principale pubblicazione anarchica a ristamparlo in una qualche lingua fu il «Fraye Arbeter Shtime». Anche lì, il Manifesto dei Sedici apparve solo sotto forma di lunga citazione all'interno di un articolo di Marie Goldsmith, storica corrispondente da Parigi per il giornale (sotto il nome di Maria Korn), che aderiva alla posizione di Kropotkin ma si era rifiutata di firmare il manifesto a causa di forti disaccordi con il modo in cui era formulato[69]. Diversi giornali anarchici americani pubblicarono tuttavia l’aspro rimprovero di Malatesta a questo manifesto, originariamente apparso su «Freedom» con il titolo Pro-Government Anarchists (Anarchici Pro-Governo), dando di fatto all'italiano la prima e l'ultima parola sull'argomento[70].
Ma nel 1917, un’importante «convertito» andò inaspettatamente a ingrossare le fila degli alleati di Kropotkin: il direttore del «Fraye Arbeter Shtime» Saul Yanovsky. Quando la Rivoluzione russa di febbraio rovesciò lo zar, venne meno anche l'opposizione ebraica allo sforzo bellico Alleato. Non solo la guerra cessava di essere uno strumento per estendere il dominio zarista e l'imperialismo russo, ma ora la nuova Russia democratica – e ogni estensione alla libertà e all’indipendenza che essa poteva rappresentare per gli ebrei e le altre minoranze – erano messe a repentaglio dalla continuata aggressione tedesca. Con questo cambiamento epocale delle circostanze, Yanovsky, come la maggior parte degli ebrei americani, si trovò a sostenere gli Alleati. Anche se Yanovsky diffidava profondamente della rivoluzione bolscevica che seguì, continuò a sostenere che una vittoria Alleata era di gran lunga preferibile alla conquista tedesca dell'Europa[71]. Yanovsky sostenne quindi l'entrata in guerra dell'America – così come i Quattordici Punti del presidente Wilson, che avrebbero garantito il diritto all'autodeterminazione nazionale – e sollecitò i giovani radicali a unirsi allo sforzo bellico contro la Germania. La reazione contro Yanovsky fu immediata e pochi tra i suoi compagni ne presero le difese. Sebbene quegli anarchici ebrei che avevano sognato una sconfitta dello zarismo, come Michael A. Cohn, non sostenessero più la Germania, pochi potevano giustificare un completo capovolgimento della propria posizione, e i più invece si unirono alla maggioranza dei neutralisti. Le nuove pubblicazioni anarchiche yiddish apparse durante la guerra condannarono Yanovsky e gli altri radicali ebrei a favore della guerra, e nel 1919, dopo vent'anni come direttore del «Fraye Arbeter Shtime», Yanovsky fu costretto a dimettersi[72].
Dopo che gli Stati Uniti entrarono ufficialmente in guerra nell'aprile 1917, gli anarchici americani furono assorbiti dalle lotte contro la coscrizione, la censura, la deportazione e l'intervento Alleato nella guerra civile russa. Il dibattito sulla linea d'azione anticoloniale più coerente si era già chiuso con la vittoria schiacciante di coloro che sostenevano la neutralità e l'astensione, e lo spazio per ulteriori discussioni fu ridotto a causa della censura bellica, con la soppressione della maggior parte dei periodici anarchici americani, tra cui «Cronaca sovversiva», «Cultura obrera», «L'Era nuova», «Mother Earth», «Regeneración» e «Volnè listy». Per i più, l'appoggio interventista a una potenza imperialista a scapito di un'altra in nome dell'antimperialismo sembrava qualcosa di assurdo. Coloro che peroravano tali argomenti vennero visti come complici del massacro europeo. Uno scrittore de «L'Era nuova» dichiarò che «voi tutti cosiddetti radicali, che avanzate elucubrazioni illogiche e prive di senso (pericolo teutonico, razza latina, libertà francese) a sostegno delle vostre tesi guerrafondaie, siete responsabili di un’enorme e tremendo crimine. Dovete renderne conto al popolo»[73]. Un altro anarchico di San Francisco suggerì che «Kropotkin sarebbe dovuto morire prima di questa guerra. Allora le future classi lavoratrici avrebbero serbato per lui un grato ricordo»[74].
Col senno di poi, è chiaro che Kropotkin e gli altri «difensisti» sbagliarono a giudicare il carattere della guerra e i suoi probabili risultati. Kropotkin non affrontò mai il problema dell'imperialismo francese, belga e britannico, e William C. Owen ha mostrato un incredibile livello di ingenuità nello scrivere: «Credo che i portavoce di Francia, Italia e Gran Bretagna, almeno, siano assolutamente onesti nelle loro ripetute dichiarazioni sull’intenzione di abolire il militarismo»[75]. La fede di questi anarchici nella natura «progressista» dei governi Alleati era tristemente mal riposta; Francia e Gran Bretagna non stavano semplicemente combattendo una guerra difensiva, e certamente non rinunciarono al militarismo o all'imperialismo, come dolorosamente dimostrato dalla Pace di Versailles. Già all'inizio del 1917, Luigi Galleani osservava che la guerra aveva «assoggett[ato] – nel nome del diritto delle genti e del principio di nazionalità [...] – il maggior numero di terra e di gente possibile, in Africa, in Asia, in Oriente, nel Mediterraneo»[76].
Questo errore di valutazione è stato causato da quella che Brian Morris chiama «la tendenza di Kropotkin a equiparare i popoli allo Stato e a pensare in termini "nazionalisti"». Il conflitto, aveva insistito Kropotkin all'inizio, non era una guerra tra stati, «ma una guerra tra popoli»[77]. Alexander Berkman identificò questo aspetto del pensiero di Kropotkin già nel novembre 1914, quando scrisse: «Kropotkin ragiona come se il popolo tedesco fosse in guerra con il popolo francese, russo o inglese, quando in realtà sono solo le cricche dominanti e capitaliste di quei paesi ad essere responsabili della guerra e le sole a trarre profitto dal suo risultato»[78]. Scrivendo a un amico durante la guerra, Kropotkin proclamava che «il vero internazionalismo non sarà mai raggiunto se non dall'indipendenza di ogni nazionalità, piccola o grande, compatta o disunita»[79]. Ma sembrava equiparare l'indipendenza alla difesa di stati nazionali indipendenti e, a sua volta, confondere quegli stati nazionali con le nazionalità che pretendevano di rappresentare. Come osservava «L'Era nuova», gli interventisti credevano erroneamente che «l'Internazionale presupponga la nazione; perciò è necessario assicurare ad ogni Paese questa forma storica, per metterlo in condizione di prepararsi allo sviluppo verso la fratellanza tra gli uomini»[80]. Nel 1914 Kropotkin smise di distinguere tra stati e nazionalità, e abbandonò la sua precedente distinzione tra lotte per l'indipendenza «plasmate dall'alto, dallo Stato» e movimenti popolari degli oppressi.
Alcuni anarchici a favore della guerra, come coloro che avevano sostenuto l'indipendenza cubana, si illudevano con l'idea che le lotte nazionaliste potessero trasformarsi, in virtù del loro stesso slancio, nella rivoluzione sociale. All'inizio della guerra, Owen credeva che ci fossero dei «risvolti positivi» nel massacro: «Le piccole nazionalità affermano il loro diritto alla vita individuale [...] la palla è stata messa in moto e l'individuo ribelle si affermerà in sciami che si moltiplicano rapidamente, giurando morte alle forze artificialmente restrittive che strangolano la sua vita»[81]. Anche dopo la fine della guerra, Harry Kelly credeva che essa avesse fatto progredire la causa dell'anarchismo. Gli anarchici, affermava, lottano «per il decentramento del potere perché crediamo che questo principio tenda a un'individualità superiore e migliore e accogliamo con favore la dissoluzione degli imperi russo, tedesco e austriaco perché nemici della libertà umana e del progresso». In quanto antistatalisti, gli anarchici «cercano l'autodeterminazione degli individui e una libera associazione di popoli, ma ciò non ci impedisce di simpatizzare o aiutare le libere repubbliche di quelle che un tempo erano Russia, Germania, Austria-Ungheria e Bulgaria; il movimento separatista dell'Irlanda e quello per l’autodeterminazione dell’India». Questi movimenti, ammetteva, non erano «né anarchismo né comunismo libertario», ma «tendenze, tuttavia, che mostrano l'influenza del pensiero e della propaganda anarchica e come tali dovrebbero essere incoraggiate»[82]. Tuttavia, in nessun caso il nazionalismo in tempo di guerra o l'indipendenza del dopoguerra si tradussero in antistatalismo.
Anche il fronte neutralista non era privo di idee problematiche. In primo luogo, come sottolineavano Kropotkin e Owen, era fin troppo pronto a ignorare la differenza tra la vita di un cittadino di una repubblica democratica e quella di un suddito di una potenza imperiale straniera. Né aveva bisogno, in fin dei conti, di affermare qualcosa di simile, poiché aveva rifiutato la logica di sostenere attivamente il male minore – logica che avrebbe sempre e inevitabilmente portato a fini non anarchici. Inoltre, gli antimilitaristi sopravvalutavano sistematicamente la propria capacità di combattere il militarismo, e tanto più quella di agire al fine di «indebolire e disgregare i vari Stati» coinvolti. Sebbene una tale opportunità si sia presentata nella Russia devastata dalla guerra, negli Stati Uniti, nonostante tutti gli sforzi e i sacrifici fatti per protestare contro il militarismo, gli anarchici non riuscirono mai ad avere un impatto sullo sforzo bellico americano.
Invece, per molti versi, la guerra segnò l'inizio della fine per l'anarchismo come movimento di massa negli Stati Uniti. Essa inaugurò un periodo senza precedenti di nazionalismo americano, xenofobia, repressione politica e restrizioni all'immigrazione. Incorsi nelle ire delle ansiose autorità governative, gli anarchici pagarono un prezzo altissimo per non essere scesi a compromessi con i propri principi. Tuttavia, questa stessa repressione, così come l'ascesa del comunismo, costringeranno dopo il 1918 un movimento anarchico in stato d’assedio e con forze ridotte a riorganizzarsi, e le fratture create dalla guerra saranno presto dimenticate. Il fatto che tutte le fazioni avessero fondato le proprie posizioni durante la guerra sullo stesso impegno condiviso per l'anticolonialismo ha contribuito a rendere possibile tale riconciliazione[83].
Kenyon Zimmer è professore associato di Storia presso l'Università del Texas at Arlington. Svolge ricerche e insegna in corsi sulla migrazione transnazionale, il lavoro e il radicalismo. Le sue pubblicazioni si concentrano in particolare sulla storia del movimento anarchico globale, sull'Industrial Workers of the World (IWW), sulla repressione politica e sull'attraversamento illegale delle frontiere. Tra le sue pubblicazioni segnialiamo Immigrants Against the State (University of Illinois Press, 2015).
Note
[1] «New York Times», 29 giugno 1914, p. 3.
[2] «L’Era nuova», 4 luglio 1914, p. 1; Alexander Berkman, Now and After: The ABC of Communist Anarchism (Jewish Anarchist Federation, New York, 1929), p. 176.
[3] Vladimir Dedijer, The Road to Sarajevo (Simon and Schuster, New York, 1966), pp. 226, 326; W.A. Dolph Owings, Elizabeth Pribic e Nikola Pribic (a cura di), The Sarajevo Trial (Documentary Publications, Chapel Hill, 1984), p. 21.
[4] Benedict Anderson, «Preface», in Steven Hirsch e Lucien van der Walt (a cura di), Anarchism and Syndicalism in the Colonial and Postcolonial World, 1879–1940: The Praxis of National Liberation, Internationalism, and Social Revolution (Brill, Boston, 2010), p. XVII.
[5] Lucien van der Walt e Steven Hirsch, «Rethinking Anarchism and Syndicalism: The Colonial and Postcolonial Experience, 1870–1940», in Hirsch e van der Walt (a cura di), Anarchism and Syndicalism in the Colonial and Postcolonial World, pp. LXIII–LXIV.
[6] Pëtr Kropotkin, Finland: A Rising Nationality, «Nineteenth Century», marzo 1885, pp. 527–8.
[7] Pëtr Kropotkin, Direct Struggle against Capital: A Pëtr Kropotkin Anthology, a cura di Iain McKay (AK Press, Oakland, 2014), pp. 138–41.
[8] Carl Levy, Anarchism and Cosmopolitanism, «Journal of Political Ideologies», 16.3 (2011), pp. 265–78; Kenyon Zimmer, Immigrants against the State: Yiddish and Italian Anarchism in America (University of Illinois Press, Chicago, 2015).
[9] «Les Temps nouveaux», 3 febbraio 1900, pp. 1–2.
[10] «La Questione sociale», 15 aprile 1896, p. 4.
[11] Kirwin Shaffer, Cuba para Todos: Anarchist Internationalism and the Cultural Politics of Cuban Independence, 1898–1925, «Cuban Studies», 31 (2000), pp. 45–75; Kirwin Shaffer, Latin Lines and Dots: Transnational Anarchism, Regional Networks, and Italian Libertarians in Latin America, «Zapruder World: An International Journal for the History of Social Conflict», 1 (2014), www.zapruderworld.org/content/kirwin-r-shaffer-latin-lines-and-dots-transnational-anarchismregional-networks-and-italian; Frank Fernández, Cuban Anarchism: The History of a Movement (See Sharp Press, Tucson, 2001), pp. 31–2.
[12] «La Questione sociale», 30 novembre 1895, p. 4.
[13] Pedro Esteve, A los anarquistas de España y Cuba: Memoria de la conferencia anarquista internacional celebrada en Chicago en Septiembre de 1893 (El Despertar, Paterson, 1900), pp. 73–84; Fernández, Cuban Anarchism, pp. 37, 50.
[14] Zimmer, Immigrants against the State, pp. 122–4; Emma Goldman, Living My Life (Peregrine and Gibbs M. Smith, Salt Lake City, 1982), p. 226.
[15] «Free Society», 22 aprile 1900, p. 1.
[16] Martin A. Miller, Kropotkin (University of Chicago Press, Chicago, 1979), p. 222.
[17] Niall Whelehan, The Dynamiters: Irish Nationalism and Political Violence in the Wider World, 1867–1900 (Cambridge University Press, Cambridge, 2012), pp. 157–75; Maia Ramnath, Decolonizing Anarchism: An Antiauthoritarian History of India’s Liberation Struggle (AK Press, Oakland, 2012).
[18] «The Blast», 1 maggio 1916, p. 4.
[19] Emily C. Brown, Har Dayal: Hindu Revolutionary and Rationalist (University of Arizona Press, Tucson, 1975); Maia Ramnath, Haj to Utopia: How the Ghadar Movement Charted Global Radicalism and Attempted to Overthrow the British Empire (University of California Press, Berkeley, 2011); Joan M. Jensen, Passage from India: Asian Indian Immigrants in North America (Yale University Press, New Haven, 1988), pp. 183, 186.
[20] Stephen Schwartz, From West to East: California and the Making of the American Mind (The Free Press, New York, 1998), pp. 169–70.
[21] «Land and Liberty», 1 maggio 1914, p. 1; «Land and Liberty», 30 maggio 1914, p. 1.
[22] Zimmer, Immigrants against the State, pp. 38–40; H. Solotaroff, Ernste fragen, «Fraye Arbeter Shtime», 23–30 maggio 1903; Mina Grauer, Anarcho-Nationalism: Anarchist Attitudes towards Jewish Nationalism and Zionism, «Modern Judaism», 14.1 (1994), pp. 14–16.
[23] Kh. Zhitlovsky, «Dr. Hillel Solotaroff un zayn natsionalistisher anarkhizm», in Hillel Solotaroff, Geklibene shriftn, a cura di Joel Entin, 3 voll. (Dr. H. Solotaroff Publication Committee, New York, 1924), vol. 1, pp. 9–25; Tony Michels, A Fire in Their Hearts: Yiddish Socialists in New York (Harvard University Press, Cambridge MA, 2005), cap. 3.
[24] «Kropotkin vegn tsionizm», in Kropotkin-zamlbukh, a cura di Jacob Sigal (Grupe Dovid Edelshtat, Buenos Aires, 1947), pp. 208–20; Grauer, «Anarcho-Nationalism», pp. 5–7.
[25] Sigal (a cura di), Kropotkin-zamlbukh, p. 264.
[26] Pëtr Kropotkin, Gegenzaytige hilf bay hayes un menshen: als a faktor fun entviklung (Kropotkin Literatur-Gesselschaft, New York, 1913), p. XIII.
[27] Tom Goyens, Beer and Revolution: The German Anarchist Movement in New York City, 1880–1914 (University of Illinois Press, Chicago, 2007), pp. 207–8.
[28] «Land and Liberty», ottobre 1914, p. 3.
[29] Goldman, Living My Life, p. 564.
[30] Miller, Kropotkin, pp. 230–1; Jean Caroline Cahm, «Kropotkin and the Anarchist Movement», in Eric Cahm and Vladimir Claude Fišera (a cura di), Socialism and Nationalism (Spokesman Books, Nottingham, 1978), vol. 1, pp. 60–1.
[31] «Freedom», Londra, ottobre 1914, pp. 76–7.
[32] «Fraye Arbeter Shtime», 24 ottobre 1914, p. 4; «Mother Earth», novembre 1914, pp. 280–2.
[33] «Mother Earth», gennaio 1915, p. 340.
[34] «Mother Earth», novembre 1914, pp. 344–8.
[35] «L’Era nuova», 16 gennaio 1915, pp. 1–2.
[36] «L’Era nuova», 12 dicembre 1914, p. 1; «L’Era nuova», 3 gennaio 1915, pp. 1–2.
[37] «L’Era nuova», 9 gennaio 1915, pp. 1–2.
[38] «L’Era nuova», 12 dicembre 1914, p. 1.
[39] «L’Era nuova», 26 settembre 1914, p. 1.
[40] «L’Era nuova», 15 agosto 1914, p. 1.
[41] «Mother Earth», maggio 1915, pp. 119–22 [NdT: traduzione italiana ripresa dalla versione pubblicata ad Ancona sotto forma di volantino il 20 marzo 1915].
[42] «Mother Earth», ottobre 1914, p. 246; «Revolt», 29 gennaio 1916, p. 1.
[43] Lettera di Harry Kelly a John Nicholas Beffel, 27 ottobre 1947, fascicolo 3, scatola 6, John Nicholas Beffel Collection, Wayne State University, Detroit.
[44] Emma Goldman, «New York Letter», in Emma Goldman: A Documentary History of the American Years, a cura di Candace Falk e Barry Pateman (University of California Press, Berkeley, 2012), vol. 3, p. 533.
[45] «New York Times», 8 maggio 1910, p. SM8; Václav Tomek, Freedom and its Fate among Czech Radicals, in Miloslav Bednář e Michael Vejražka (a cura di), Traditions and Present Problems of Czech Political Culture (Council for Research in Values and Philosophy, Washington DC, 1994), p. 31; «Revolt», 29 gennaio 1916, p. 1.
[46] Paul Avrich, The Modern School Movement: Anarchism and Education in the United States (Princeton University Press, Princeton, 1980), p. 249.
[47] «Regeneración», 14 novembre 1914, p. 4; «Regeneración», 12 dicembre 1914, p. 4.
[48] «Regeneración», 1 gennaio 1916, p. 4. Vedi anche: «Land and Liberty», dicembre 1914, p. 1; «Regeneración», 13 novembre 1916, p. 4.
[49] «Land and Liberty», novembre 1914, p. 1.
[50] «Regeneración», 25 dicembre 1915, p. 4; «Land and Liberty», giugno 1915, p. 1.
[51] Schwartz, From West to East, pp. 181–3.
[52] «Regeneración», 21 aprile 1917, p. 1.
[53] Ugo Fedeli, Gli anarchici e la guerra: 1, «Volontà», 4.10 (15 aprile 1950), pp. 624, 627.
[54] Stephen B. Whitaker, The Anarchist-Individualist Origins of Italian Fascism (Peter Lang, New York, 2002), pp. 39–49; Ugo Fedeli, Gli anarchici e la guerra: 2, «Volontà», 4.11 (15 maggio 1950), pp. 685–6; Alessandro Luparini, Anarchici di Mussolini: dalla sinistra al fascismo, tra rivoluzione e revisionismo (M. I. R. Edizioni, Montespertoli, 2001).
[55] «Cronaca sovversiva», 28 agosto 1915, p. 3; Gaetano Salvemini, Italian Fascist Activities in the United States, a cura di Philip V. Cannistraro (Center for Migration Studies, New York, 1977), pp. 36–7.
[56] Stefano Luconi, From Left to Right: The Not So Strange Career of Filippo Bocchini and Other Italian American Radicals, «Italian American Review», 6 (autunno/inverno 1997–98), p. 132.
[57] «Cronaca sovversiva», 9 marzo 1918, p. 1.
[58] «L’Era nuova», 23 gennaio 1915, p. 1.
[59] «L’Era nuova», 27 febbraio 1915, p. 1.
[60] Brown, Har Dayal, pp. 179–82; Harish K. Puri, Ghadar Movement: Ideology Organization and Strategy (Guru Nanak Dev University, Amritsar, 1993), pp. 102–13; Ramnath, Haj to Utopia, pp. 72–94.
[61] «New York Times», 25 febbraio 1918, p. 1.
[62] Karl Hoover, The Hindu Conspiracy in California, 1913–1918, «German Studies Review», 8.2 (1985), pp. 245–61.
[63] Puri, Ghadar Movement, pp. 230–42.
[64] Christopher M. Sterba, Good Americans: Italian and Jewish Immigrants during the First World War (Oxford University Press, Oxford, 2003), pp. 60–7; «Fraye Arbeter Shtime», 24 ottobre 1914, p. 4.
[65] Zosa Szajkowski, Jews, Wars, and Communism (Ktav, New York,1972), p. 6; «Fraye Arbeter Shtime», 31 ottobre 1914, p. 5; «Fraye Arbeter Shtime», 12 dicembre 1914, p. 7; «Mother Earth», dicembre 1914, p. 306.
[66] M. Raevsky, Di natsionale frage un der anarkhizm, «Fraye Arbeter Shtime», 27 marzo–3 aprile 1915.
[67] New York State Senate, Joint Legislative Committee Investigating Seditious Activities, Revolutionary Radicalism: Its History, Purpose and Tactics with an Exposition and Discussion of the Steps Being Taken and Required to Curb It (J.B. Lyon, Albany, 1920), 1:861; To All Russian Workers, traduzione inglese di un volantino in lingua russa, nel fascicolo n. 54379/125, Records of the Immigration and Naturalization Service, Record Group 85, National Archives, Washington, DC.
[68] [NdT: La citazione in inglese di Zimmer viene dalla traduzione di Shawn P. Wilbur del Manifesto dei Sedici, dal sito http://libertarian-labyrinth.blogspot.com/2011/05/manifesto-of-sixteen-1916.html; quella in italiano da Manifesto dei Seidici. Critiche di Malatesta, Galleani, Borghi e di alcuni anarchici russi (Edizioni Anarchismo, Trieste, 2015).]
[69] «Fraye Arbeter Shtime», 6 maggio 1916, pp. 4–5; Michael Confino, Anarchisme et internationalisme: Autour du Manifeste des Seize: Correspondance inédite de Pierre Kropotkine et de Marie Goldsmith, janvier-mars 1916, «Cahiers du monde russe et soviétique», 22.2–3 (1981), pp. 231–49. Goldsmith firmava i propri scritti sia con il nome Korn, sia con Corn. Korn è la traslitterazione del nome con cui firmava in yiddish, e sembra essere la versione più comune del suo pseudonimo.
[70] «The Blast», 15 maggio 1916, p. 3; «L’Era nuova», 29 aprile 1916, pp. 1–2; «L’Era nuova», 6 maggio 1916, p. 1; «Cronaca sovversiva», 29 aprile 1916, p. 1.
[71] Abba Gordin, Sh. Yanovsky: zayn lebn, kemfn un shafn, 1864–1939 (Sh. Yanovsky Odenk Komitet, Los Angeles, 1957), pp. 329–31.
[72] Zimmer, Immigrants against the State, pp. 141–2, 146–7.
[73] «L’Era nuova», 7 novembre 1914, p. 2.
[74] «Land and Liberty», aprile 1915, p. 4.
[75] «Regeneración», 23 gennaio 1916, p. 4.
[76] «Cronaca sovversiva», 10 febbraio 1917, p. 3.
[77] Brian Morris, Kropotkin: The Politics of Community (Prometheus Books, Amherst NY, 2004), 265; Miller, Kropotkin, p. 229.
[78] «Mother Earth», novembre 1914, p. 281.
[79] Miller, Kropotkin, p. 231.
[80] «L’Era nuova», 17 aprile 1915, p. 3.
[81] «Regeneración», 22 agossto 1914, p. 4.
[82] «Freedom», New York, 15 gennaio 1919, p. 5.
[83] Sull’anarchismo americano tra le due guerre, vedi Zimmer, Immigrants against the State, capp. 5–6; Andrew Cornell, «For a World Without Oppressors»: U.S. Anarchism from the Palmer Raids to the Sixties (tesi di dottorato, New York University, 2011), capp. 1–3.
[fonte: «At war with empire: The anti-colonial roots of American anarchist debates during the First World War», traduzione di Roberto Viganò]